Aylan simbolo dei morti in mare. Il Papà disperato: ”mi è scivolato via”

Schermata 2015-09-04 alle 07.51.24La faccia di Aylan schiacciata sulla sabbia di Bodrum e il suo corpicino senza vita spinto sul bagnasciuga dalle onde turche, hanno commosso il mondo.

Non è detto però che convincano le autorità internazionali a fare presto e a fermare l’ormai mai miliardario e atroce traffico umano. Aylan, 3 anni, è annegato insieme al fratellino Galip, 5 anni, e alla mamma Rehan che ha tentato di tenerli a galla fino all’ultimo.

Solo il padre è riuscito a salvarsi e adesso pensa solo a portare i cadaveri di nuovo in Siria, a Kobane, per sepperli dove i bambini sono nati.

Questa volta il dito è puntato sull’ordinato Canada che poche settimane fa ha respinto la richiesta di asilo della famiglia Kurdi (Ottawa smentisce, però, di aver mai ricevuto una richiesta d’asilo da parte del padre, mentre ne ha ricevuta una dal fratello dell’uomo ma era incompleta) che voleva fuggire dalla guerra per raggiungere Vancouver dove abitano la zia Teema, parrucchiera, e tutta la famiglia con figli e nipoti.

Lei aveva pagato privatamente le spese per la domanda d’asilo, ma anche per l’affitto che la famiglia doveva pagare in Turchia «anche se i profughi siriani vengono trattati malissimo e quasi come bestie».

Ma un altro duro scoglio per i curdo-siriani come il piccolo Aylan è ricevere l’indispensabile status di rifugiati che solo l’Unhcr può concedere quando si passa dai campi speciali al confine tra Siria e Turchia.

La famiglia di Abdullah Kurdi però sapeva che quelle ‘carte per la libertà non le avrebbe mai avute e con gli ultimi soldi ha investito tutto nella speranza sui gommoni che si sono rovesciati subito restituendo soprattutto cadaveri.

Tra le onde, schiacciati sui treni, soffocati in camion frigoriferi, i migranti stanno dimostrando di preferire la sfida con la morte nella speranza di raggiungere la loro meta piuttosto che aspettare la fine nei villaggi bombardati senza luce o senza cibo in attesa dell’arrivo dell’Isis.

Il piccolo Aylan e il fratellino Galip, sono destinati a diventare un simbolo, ma la loro misera fine è la stessa di migliaia di persone ogni mese. Quando il padre ha chiamato la zia in Canada perdire «sono morti tutti… non so più cosa fare… li riporto in Siria per seppellirli insieme….», la piccola comunità curdo-siriana di Vancouver ha cercato di alzare la voce. C’erano le firme di cinque cittadini canadesi per accettare il loro arrivo, come prevede la legge. Avevano unito i loro soldi in banca per dimostrare che sarebbero stati in grado di ospitarli e mantenerli.

Quel secco timbro dell’Unhcr con scritto «domanda respinta» però è diventato per loro una condanna a morte. La disperazione li ha spinti a salire sulle piccole imbarcazioni stracolme, ha convinto i genitori a dare i loro ultimi spiccioli a scafisti criminali. Il Canada non si sente colpevole. L’Unhcr ha agito come impongono le leggi internazionali approvate dall’Onu.

Il Resto del Carlino