I medici hanno rassicurato la madre, dicendo che andava tutto bene. 9 mesi passati a credere che il figlio che portava in grembo sarebbe nato sano, che non ci fosse nessun problema. Ma poi, al momento del parto, l’amara sorpresa: il bambino nasce senza gambe.
Il fatto risale al 2015, all’ospedale di Parma. Bryan, che adesso ha 10 anni, è privo delle gambe dal ginocchio in giù e i genitori sono stati risarciti con 350.000 euro.
La storia
«La mancata diagnosi della malformazione del feto durante la gravidanza e la sua scoperta al momento della nascita del bimbo ha drammaticamente fatto andare in pezzi l’immagine che la donna sia era creata e sognata nei nove mesi precedenti» scrive il Tribunale di Parma. Nessun dubbio, quindi: la responsabilità è dei medici.
Nessuno dei quali ha interpretato in maniera corretta le diverse ecografie a cui si è sottoposta la donna nel periodo di gestazione, nonostante i plurimi esami svolti presso il proprio ginecologo, l’ospedale e il consultorio dell’Ausl. L’unico condannato è il ginecologo privato a cui la mamma di Bryan si era affidata: dovrà risarcire i genitori con circa 350.000 euro, importo che tiene conto dei danni, delle spese legali e degli interessi.
Secondo il giudice, l’errore diagnostico poteva essere evitato in quanto accorgersi della malformazione del feto era possibile. La mancata diagnosi ha negato alla donna «il suo diritto di decidere se abortire o meno, e entrambi i genitori hanno subito danni morali per lo choc al momento del parto e per non esseri potuti preparare emotivamente e psicologicamente a un evento del genere».
Il precedente
Quello di Bryan non è l’unica tragedia che ha investito l’ospedale Maggiore di Parma. Un altro terribile precedente risale al 2003: una bambina, Elena, nacque con gravi problemi psicofisici. Problemi che l’hanno segnata fino alla morte, a soli 4 anni.
Le storie di Bryan ed Elena sono diverse, ma legate da un filo rosso: oltre a essere nati nello stesso ospedale, lo stesso ginecologo, il dottor T.B., che lavora in un piccolo centro della provincia, ha seguito le due gravidanze.
L’Ausl di Parma ha replicato, tirandosi fuori da ogni accusa: «L’attività sanitaria contestata e il danno subito dal minore e dalla sua famiglia non sono state svolte e cagionate da professionisti afferenti a servizi delle Aziende Sanitarie di Parma». Il Tribunale di Parma, con la sentenza del 26 agosto, ha infatti «rigettato integralmente la domanda di risarcimento proposta nei confronti di Azienda Usl di Parma e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma», di fatto scagionando l’azienda.
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