Bangui. Francesco apre la Porta santa «Il Giubileo comincia dall’Africa»

Papa FrancescoLO AVEVA detto ai suoi collaboratori e l’ha fatto. Sarebbe andato come Papa in zone di guerra. Ha fatto di più: da Bangui, capitale del Centrafrica martoriato dalla guerra civile, ha aperto la prima porta santa del Giubileo della misericordia. Non era mai avvenuto al di fuori di Roma. Le mani appoggiate sul portone fresco di riverniciatura della cattedrale, un edificio semplice eppure maestoso. Quindi la spinta, decisa, in un gesto che vuole valere come simbolo ovunque: aprite le porte.  «Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo – scandisce Bergoglio -. L’Anno santo della misericordia viene in anticipo a questa terra». Alla folla all’esterno, ancora un po’ incredula che il Papa sia arrivato fin lì, lui spiega: «Questa terra soffre da diversi anni la guerra, l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. In questa terra sofferente ci sono anche tutti i paesi del mondo che sono passati per la croce della guerra. Tutti noi chiediamo pace, riconciliazione, perdono, amore». Lo stesso che invoca all’interno, nell’omelia, aggiungendo la supplica rivolta ai combattenti: «Deponete le armi, strumenti di morte, armatevi piuttosto di misericordia».

LA CERIMONIA è solenne, Francesco spiega lui stesso il significato della sua scelta: «In questa prima domenica di Avvento, tempo liturgico dell’attesa del Salvatore e simbolo della speranza cristiana, Dio ha guidato i miei passi fino a voi, mentre la Chiesa universale si appresta a inaugurare l’Anno giubilare della misericordia». Gli allarmi sicurezza nel giorno in cui Francesco ha finalmente messo piede a Bangui, sembrano dissolversi. Certo, la visita è blindata e i pericoli sono in agguato. La tensione sottotraccia resta. Il Paese è presidiato da più di 700 soldati della missione francese e da 2700 caschi blu dell’Onu che veglieranno sul percorso fino alle elezioni presidenziali, le prime dall’inizio, tre  anni fa, della guerra civile. Uno scontro tra milizie musulmane e cristiane che non si vuole chiamare religioso.

MA L’ACCOGLIENZA riservata a Francesco da tutta la popolazione sembra dire una cosa sola: nessuno vuole rovinare le cose adesso. Di fronte alle autorità centrafricane, Bergoglio ha chiesto uno sforzo fino in fondo a mettere da parte «la paura dell’altro, di ciò che non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa». È necessario dire no «alla tentazione della vendetta», «alla spirale delle rappresaglie senza fine». Poi si è immerso nel contatto con la gente nel campo profughi di St. Sauver. La veste inzaccherata, gli scarponcini neri sotto che non temono il fango, Francesco ha allungato mani, avvicinato bambini, abbracciato quanto più ha potuto. Nessuna modifica al programma è intervenuta finora e si va avanti dritti con gli appuntamenti di oggi, ultimo giorno del viaggio in Africa.

REGGERÀ la tregua fino a questa mattina, quando Francesco si dirigerà senza esitazioni verso la moschea di Koudoukou, nel famigerato quartiere del Chilometro cinque, il Pk5, il punto più caldo della città, dove le tensioni in questi mesi sono sfociate in violenza? È l’interrogativo appeso ma i cinque imam della comunità islamica vogliono abbracciarlo. E Francesco vuole abbracciare loro.

La Stampa