Baratro Pd, ecco quanti voti ha bruciato da quando è nato

La politica è fatta di idee, programmi, leader, slogan, campagne elettorali, feste, dibattiti… Ma è fatta soprattutto di voti. Il Partito democratico, nato nel 2007 dalla fusione a freddo dei Ds e della Margherita (ex Ppi), la prima volta che si presentò alle elezioni, nelle Politiche del 2008, ottenne 12.095.306 voti alla Camera, pari al 33,18%. Nella coalizione ideata dal segretario Walter Veltroni il centrosinistra arrivò ad un lusinghiero 37,55%, con 14.099.747 voti. Sono un’enormità rispetto ai voti ottenuti oggi dai dem (5.355.086, pari al 19,07%), ma comunque non sufficienti per andare al governo. Nel 2008 vinse infatti il centrodestra guidato da Berlusconi, che portò a casa il 46,81% dei consensi (17.403.135 voti). È bene ricordare, altresì, che l’affluenza al voto nel 2008 fu molto alta, pari all’80,63%, contro il 63,91% di quest’anno. Pur marcatamente bipolare, la sfida elettorale del 2008 vide una terza forza, l’Udc, che portò a casa 2.050.229 voti, pari al 5,62%.

Nel 2013, con in mezzo l’impallinamento del governo Berlusconi e l’esecutivo tecnico a guida Monti, il Pd di Pierluigi Bersani ottenne 8.400.161 voti, pari al 27,43% dei voti. Il centrosinistra fece poco meglio, sollevando l’asticella della coalizione fino al 29,55%, per 10.049.393 voti complessivi. Fece peggio il centrodestra, che ottenne 9.923.600 voti, pari al 29,18%. Il 2013 è l’anno che segna, di fatto, la fine del bipolarismo nato nel 1994, grazie al grande boom fatto registrare dal Movimento 5 Stelle, che tra Camera e Senato elegge 162 rappresentanti, grazie al 25,56% (8.691.406 voti). La partecipazione al voto nel 2013 è stata del 75,19%.

Dopo una legislatura complicata, con Letta, Renzi e Gentiloni che si alternano a Palazzo Chigi, e una riforma costituzionale (fortemente voluta da Renzi) bocciata in modo sonoro dal referendum popolare, il centrosinistra nelle Politiche del 2018 porta a casa 7.914.726 voti (pari al 22,86%); decisamente meglio vanno le cose per il centrodestra, che ottiene il 37% (12.409.981 voti). Siamo nel 2018 e il Partito democratico continua la sua discesa in termini di consenso, passando a 5.783.360 voti (19,14%). Il Pd con la seconda segreteria di Matteo Renzi si ferma a 5.783.360 voti, perdendo per strada un’altra bella fetta di elettori (2.616.801 voti). L’affluenza alle urne nel 2018 è stato del 72,93%.

Cinque anni dopo e altri leader bruciati lungo il cammino (il reggente Maurizio Martina e poi Nicola Zingaretti), il Pd ha vissuto una nuova scissione, perdendo un pezzo, quello più vicino all’ex segretario Renzi, che ha dato vita a Italia Viva. Il Pd tutto sommato tiene rispetto a 5 anni prima, raccogliendo 5.355.086 voti, pari al 19,07%. La coalizione del centrosinistra ottiene 7.337.624 voti, pari al 26,13%. Molto al di sotto del boom fatto registrare dal centrodestra, con il 43,79% (12.229.648 voti) e un mandato pieno a governare il Paese. Il segretario Enrico Letta, chiamato a gran voce a guidare i dem nel marzo 2021 per sostituire il dimissionario Zingaretti, si fa da parte e annuncia che porterà il partito al congresso, ma senza ricandidarsi. Il Pd liquida un altro leader e continua a perdere sempre più voti. L’affluenza alle urne, quest’anno, è stata del 63,91%.

Difficile dire dove siano andati a finire i 6.740.220 voti in più presi da Veltroni nel 2008 (e non parliamo di coalizione ma solo del Pd). Il calo, in termini percentuali, è del 55,73%. Gli esperti di flussi elettorali cercheranno di fare delle stime, che terranno conto, ovviamente, della crescita dell’astensione così come dalla nascita e affermazione di nuove forze politiche.

È indubbio che la comparsa sulla scena del Movimento 5 Stelle abbia fatto da calamita rispetto a una bella fetta di elettori del centrosinistra. Il rimescolamento delle carte al centro, tentato dal Terzo Polo, è ancora troppo piccolo. Ma non si può escludere che una fetta consistente dei voti ottenuti dal tandem Calenda-Renzi (2.186.658 voti, pari al 7,79%) arrivi proprio dal Pd.


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