Barcellona. Il premier Rajoy apre ai catalani «Dialogo, ma la Spagna è una sola»

CATALOGNALA VITTORIA degli indipendentisti alle elezioni catalane di domenica, con una maggioranza assoluta in seggi ma non in voti, ha creato una situazione complicata per il presidente uscente Artur Mas, che ha promesso di portare la Catalogna all’indipendenza nel 2017 e che, dopo il voto, ha ottenuto un disponibilità molto limitata alla trattativa da parte del governo centrale. Le prossime quattro settimane, fino alla costituzione del nuovo Parlamento di Barcellona, saranno cruciali per capire se e come il progetto di Mas potrà andare avanti. Saranno poi decisive le politiche spagnole del 20 dicembre, che determineranno con quale governo di Madrid la Catalogna dovrà trattare.

IL PREMIER Mariano Rajoy, che potrebbe perdere la prossima tornata elettorale, è stato finora durissimo nel muro contro muro con Mas. Anche se ieri ha detto di essere pronto al dialogo. Ma a condizione che si resti «dentro la legge» e non si metta in discussione «l’unità della Spagna». Uno spiraglio. Mas ha replicato dicendo di avere «tutta la voglia del mondo» di trattare con Rajoy.
Le urne hanno dato alle liste secessioniste di Junts Pel Si di Mas (JpS, 62 deputati) e degli anti-sistema della Cup (10) la maggioranza assoluta dei seggi, 72 su 135, con il 47,8% dei voti. Mas non ha raggiunto da solo la maggioranza assoluta di 68 seggi ed è ora costretto a trattare con la Cup di Antonio Banos, che già l’altra sera ha chiamato alla disobbedienza civile contro la Spagna. Un compito non facile.
Banos finora ha detto di non volere una rielezione del presidente centrista. «Mas è prescindibile» ha detto. Ieri ha aggiunto che una dichiarazione unilaterale di indipendenza non è possibile subito, perché le due liste non hanno ottenuto il 50% dei voti. Mas e gli altri dirigenti di JpS ritengono invece che la maggioranza assoluta in seggi consenta di andare avanti come previsto con il progetto dell’indipendenza. Il negoziato sarà complicato. L’elezione del nuovo presidente è prevista il 9 novembre. Se entro due mesi nessuno sarà eletto, si tornerà alle urne.

IL PREMIER spagnolo, il cui Partito popolare domenica è stato il grande sconfitto delle elezioni catalane, ha anche detto che «i sostenitori della rottura non hanno mai avuto l’appoggio della legge: da domenica sappiamo che non hanno neppure l’appoggio della maggioranza della società catalana». Una tesi ripresa ieri da stampa e establishment madrileni, secondo i quali il campo della secessione in Catalogna non supera il 48%, contro il 52% a quello degli anti.
Ma la realtà è più sfumata. È difficile però considerare il 52% come dichiaratamente anti-indipendentista. Il capolista di Verdi e Podemos Lluis Rabell che in passato si è pronunciato per l’indipendenza, ha chiesto che il suo 9% non venga contabilizzato «nè con il si nè con il no».

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