A questo punto bisogna chiamare le cose con il loro nome.
Quella portata avanti da Luca Beccari sull’accordo di associazione con l’Unione Europea non è una narrazione edulcorata. È una costruzione artificiale, ripetuta scientemente, per far sembrare solido ciò che solido non è.
Non siamo davanti a un accordo in dirittura d’arrivo.
Siamo davanti a un trattato non in vigore, giuridicamente incompleto, politicamente appeso a decisioni altrui, che viene venduto come se fosse già realtà. E questo non può essere un errore, perché è stato spiegato più e più volte, anche in Commissione, cosa significa accordo misto, cosa significa applicazione provvisoria e cosa comporta la mancata ratifica anche di un solo Parlamento dei 27.
Eppure Beccari continua.
Continua a parlare di percentuali inventate, come il famigerato “95% esclusivo”, che oltre a non essere vero non esiste in nessun manuale di diritto internazionale. È uno slogan, non una categoria giuridica. Un accordo non è una torta da tagliare: o entra in vigore o non entra in vigore. Se è misto, dipende dai Parlamenti nazionali ed entra in vigore solo quanti tutti hanno votato a favore. Punto. Tutto il resto è fumo negli occhi.
L’applicazione provvisoria viene poi usata come foglia di fico per nascondere il fallimento politico di non essere riusciti a portare a casa un accordo esclusivo UE. Ma l’applicazione provvisoria è, per definizione, precaria, revocabile, instabile. Non dà certezze agli operatori economici, non tutela lo Stato, non garantisce continuità. Serve solo a dire “qualcosa si muove”, mentre in realtà non si muove nulla di definitivo.
Nel frattempo, però, si chiede a San Marino di fare tutto: riscrivere l’ordinamento, adeguare centinaia di norme, assumere personale e pagarlo con soldi che non abbiamo, spendere risorse pubbliche, cedere competenze strategiche.
Senza avere un accordo in vigore.
Questo non è riformismo. È roulette russa istituzionale.
La questione Andorra è stata trattata con lo stesso disprezzo per l’intelligenza altrui. Prima indispensabile, poi irrilevante, poi “comunque non un problema”. La verità è elementare: finché non c’è la firma, Andorra può bloccare tutto. Se Andorra va a referendum prima della firma e lo perde, l’accordo salta. Non “si adatta”, non “si prosegue serenamente”. Salta. Raccontare il contrario è mentire sapendo di mentire.
La firma senza ratifica non è un successo: è solo un atto politico che dice che siamo d’accordo, un anticipo pagato su un contratto che potrebbe non esistere mai perché uno dei 27 potrebbe dire di no.
Ma il punto più grave è un altro.
Beccari sta cercando di far passare l’idea che questo percorso sia inevitabile, che ormai “non si possa tornare indietro”, che la politica debba solo accompagnare un processo già scritto. Questo a mio parere è un abuso del ruolo istituzionale. È il tentativo di svuotare il Consiglio Grande e Generale della sua funzione, trasformandolo in un ufficio ratifiche di decisioni prese altrove.
Uno Stato serio non funziona così.
Uno Stato serio non cambia se stesso sulla base di un accordo che forse entrerà in vigore, forse no, forse a pezzi.
Qui non c’è visione.
Non c’è strategia.
C’è solo la necessità politica di vendere come successo ciò che successo non è, per coprire anni di ritardi, errori di impostazione e subalternità negoziale.
A questo punto dirlo non è più un’opzione, è un dovere: il Paese viene accompagnato verso una trasformazione irreversibile sulla base di un accordo che non esiste.
E questa non è più una bugia occasionale.È una linea politica costruita sulla distorsione della realtà ed è gravissimo oltreché fortemente oneroso.
Marco Severini – Direttore del GiornaleSM













