L’AUTOCARRO che la sera del 26 novembre 2010 si aggira nel microcosmo di Brembate di Sopra, che racchiude il minuscolo pianeta di Yara Gambirasio, è quello di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore processato per la morte della ginnasta tredicenne. «Una identificazione probabile», dice nell’aula dell’Assise di Bergamo il colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, consulente della procura e teste del pubblico ministero.
Esistono, spiega Lago, varie gradazioni di identificazione, secondo una scala stabilita a livello europeo: la prima è l’impossibilità di identificazione, la seconda è «l’identificazione probabile», la terza è «l’identificazione certa».
QUELLA SERA di novembre, quando Yara sparisce all’uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra, le telecamere della zona riprendono un autocarro Fiat Iveco Daily. Massimo Bossetti ne possiede uno. È quello fissato dai filmati? La risposta dell’accusa è affermativa. A parte la classe del veicolo, i due automezzi hanno alcune peculiarità in comune: una macchia di ruggine, il passo, ossia la distanza fra i due semiassi, la perfetta sovrapponibilità fra i due modelli. Sono in funzione cinque telecamere: quella all’altezza di una rotonda, due telecamere dell’azienda chimica Polint in via Caduti e Dispersi dell’Aeronautica (a lato del centro sportivo), l’«occhio» di un’area di servizio Shell, quasi di fronte alla palestra, quello della Banca di Credito Cooperativo di Sorisole, in via Rampinelli, dove abitano i Gambirasio. Tutte riprendono il passaggio dell’autocarro. Tre lo filmano anche mentre transita nei due sensi di marcia. È un furgone cassonato Iveco Daily. È «probabilmente» l’Iveco di Bossetti. L’autocarro del carpentiere presenta, molto chiara, una macchia di ruggine sulla fascia di rinforzo lungo la fiancata destra. I fotogrammi del furgone, ricavati dalle telecamere, mostrano, nella stessa posizione, una macchia scura che interrompe la linea della fascia di rinforzo. Il passo (la distanza fra i semiassi) è un passo medio 3400 e si sovrappone in entrambi gli automezzi. Le immagini dei due furgoni, conclude Lago, sovrapponibili «in perfetta coerenza». In parallelo con le indagini del Ris, si erano sviluppate quelle dei carabinieri del Ros di Brescia. Erano stati individuati circa 2000 Iveco Daily immatricoalti nel Nord Italia fra il 1999 e il 2006. Erano stati tutti fotografati ed esaminati per escludere quelli assolutamente incompatibili. Da uno screening all’altro, per cerchi concentrici, era stata circoscritta una «rosa» di cinque automezzi, compreso quello dell’imputato. I proprietari di quattro erano stati messi sotto torchio: nessuno di loro si trovava a Brembate la sera della scomparsa di Yara. Non era rimasto che l’autocarro di Bossetti. Nella deposizione del capo del Ris anche il terzo caposaldo dell’accusa, insieme con il Dna e il furgone.
ESISTE «piena compatibilità per morfologia, cromatismo, composizione chimica» fra le fibre trovate sui leggings (5 fibre) e su parti del giubbotto di Yara (21 fibre), da una parte, quelle del sedile dell’autocarro dell’imputato, dall’altra. Un capitano donna ha indossato un paio di leggings simili a quelli di Yara e si è seduta sul sedile che, nel contatto, ha rilasciato 248 fibre. Si è passati a comparare queste e le fibre trovate sui vestiti della vittima. Esito positivo, in alcuni casi le fibre erano indistinguibili. Yara Gambirasio, conclude l’accusa, si è dunque seduta nell’autocarro dell’uomo che viene processato per il suo omicidio.
Massimo Bossetti segue l’udienza, attentissimo come sempre. Nell’intervallo rifiuta il pasto e l’acqua. Alla domanda se desidera essere ricondotto in carcere per il pranzo risponde di no.
IL CORRIERE DELLA SERA