Bologna. Bersani: “La nostra gente è spaesata”. Salva – Banche, L’Europa non basta

bersaniTORTELLINO batte Leopolda. «Vado dove ci sono le bandiere», spiega Pier Luigi Bersani. Alla festa del tesseramento di Casalecchio, alle porte di Bologna, quelle non mancano di certo: «Mi hanno invitato e ho detto sì. Qui sto bene, qui si può ragionare di politica».
Alla Leopolda no?
«Il paragone è semplice: qui c’è un ex segretario che si preoccupa di fare delle tessere, là un segretario organizza un appuntamento dicendo ben chiaro che non è un’iniziativa del Pd. È veramente una cosa abbastanza singolare».
Cosa dice dello stato di salute del partito?
«La nostra gente è spaesata, c’è disaffezione. Non dobbiamo sottovalutare questi segnali. Bisogna discutere senza casacche».
Oggi a Roma si riunisce la minoranza. Che valore ha questo appuntamento nei giorni della Leopolda?
«È un posto dove si può discutere, bisogna far scorrere la discussione nelle vene».
In tanti hanno scelto di andarsene.
«Sbagliano. Io sono dell’idea che la botte dà il vino che ha: sto con tutti e due i piedi nel mio partito, non ci sono altre strade possibili».
A sinistra c’è un gran fermento.
«Qualcosa non mi torna».
Che cosa?
«Chi esce dice di voler costruire un nuovo centrosinistra. Anch’io. Poi dicono che il Pd ormai è perso. Allora, mi chiedo, con chi lo fate il centrosinistra? Senza il Pd, non si fa nulla. Capisco le scelte personali, ma trovo in queste posizioni un limite di fondo».
Il dialogo a sinistra, però, va a rotoli.
«Quand’ero segretario, il Pd fece alleanze con liste civiche e sinistra radicale: abbiamo vinto in tutti i comuni. Bisogna tenere questa prospettiva aperta».
Ma come? Vendola ha appena tagliato i ponti.
«In questi due anni sono emersi problemi. Ma questa possibilità rispunterà fuori. Non creiamo fratture non ricomponibili: dobbiamo tenere aperti più canali di comunicazione possibili».
Governare con Alfano non è una contraddizione?
«Penso di no. Anche a Roma dovremmo avere uno sguardo più attento a quello che si muove nel mondo che non è Pd, ma è affine alla logica del centrosinistra: teniamo rapporti politici corretti, anche con Sel, senza dare l’idea che nel futuro non ci sarà più il centrosinistra. Altrimenti non so dove andiamo».
Intanto Renzi lavora al partito della nazione.
«È un errore, è un errore».
Perché?
«Noi dobbiamo aggiornare la nostra idea di sinistra, che sia più sociale e liberale, però attenti: se disarmiamo i nostri valori, si va verso un punto indistinto. Vuol dire andare nell’inutilità».
Addirittura?
«Guardiamoci attorno: c’è un partito di centro in Europa che non sia stato spazzato via? Qui si ammainano delle bandiere, senza prima averne trovate delle altre».
Il primo banco di prova saranno le amministrative. Quanto si giocano Renzi e il Pd?
«Lo scopriremo. Abbiamo sempre vinto con un campo allargato, bisogna fare in modo che a Milano e Roma questo accada. Evitare i ballottaggi è molto difficile, non possiamo rischiare l’isolamento».
Da ex ministro, che giudizio dà del decreto salva-banche?
«Il consumatore, il cittadino, va difeso e tutelato il più possibile dalle prepotenze del mercato. E se non bastano l’Europa o le autorità di vigilanza, allora ci dovrebbe pensare il legislatore».
Invece?
«Quando introdussi la portabilità dei mutui, me ne hanno tirate addosso di ogni: “Metti il dito nel mercato”, mi aggredivano. Eh, ma se non lo facevo io, adesso col cavolo che l’avremmo».
Insomma, una faccenda gestita male.
«Alcune persone hanno perso tutto. Chi ha spinto per prodotti sbagliati verso clienti ignari o ha fatto fallire una banca, deve pagare. Poche storie. Se un ferroviere sbaglia a tirare giù la sbarra di un passaggio a livello, va in galera. Queste situazioni creano allarme sociale, ci voleva qualcosa di più».

La Stampa