Bologna. L’ex manager Salvati contro Vasco: “Lui mente, io gli ho salvato la vita”

L’entourage di Vasco Rossi? «Un nido di vipere». La firma sul patto di riservatezza gratuito apposta, secondo il Blasco, il 10 aprile 2013 fra le 15 e le 15,30? «Impossibile, dalle 13 alle 16,30 ero al pronto soccorso perché la mia compagna stava male. Solo dopo gli esami scoprimmo la causa: era incinta. Fu una bellissima notizia». Il rapporto con la rockstar? «Per me era come un fratello maggiore. Perciò fu un fulmine a ciel sereno quando mi licenziò, nell’agosto 2013. Dopo tutto quello che avevo fatto per lui. Io che, posso dirlo, ho contribuito a salvare la vita di Vasco Rossi». Eccola qui, la versione di Stefano Salvati, l’ex manager del Komandante accusato di calunnia e falso nel processo che ruota attorno all’ormai famoso patto di riservatezza: per Vasco, che ha testimoniato in Tribunale come parte offesa una settimana fa, quell’accordo era a titolo gratuito, per Salvati a titolo oneroso, 200mila euro all’anno per 30 anni.

Salvati, assistito dall’avvocato Raffaele Miraglia, non ha usato mezzi termini: «Vasco ha detto il falso su varie cose – ha attaccato Salvati –, in primis sul fatto che mi presentò lui Zucchero. Non è vero. Io ho lavorato con grandissimi artisti, non certo per merito suo».
Poi ha ricostruito il periodo da manager: «Iniziai a lavorare per Vasco a gennaio 2013 e lui era in un periodo difficilissimo. Era stato molto male, si diceva che non avrebbe più fatto concerti. Io, ripeto, ho contribuito a salvargli la vita. E gli ho fatto guadagnare molti soldi. Il problema è che aveva attorno a sé, e ha tuttora, una corte dei miracoli, come l’ha definita lui stesso. Io lo definisco un covo di vipere, in cui sono tutti contro tutti». Per Vasco, assistito dall’avvocato Guido Magnisi, Salvati fu pagato per il suo lavoro con circa 600mila euro e firmò un patto gratuito come agli altri collaboratori.

Tesi smentita dall’ex manager: «Quel patto è falso, non l’avevo mai visto prima della causa civile. Il 10 aprile non potevo essere in ufficio a firmare alla presenza di Vasco e della segretaria perché ero appunto al Maggiore. Ho invece firmato un patto diverso, fra il 12 e il 15 aprile, mentre eravamo in Puglia, nella suite di Vasco. C’eravamo solo io e lui e l’accordo prevedeva anche la realizzazione di una autobiografia, di un film e di un docufilm. Sei milioni in trent’anni sono una cifra congrua».
Versione, quella sul pronto soccorso, confermata in aula dalla compagna di Salvati e dal padre di lei. Sulle cause della rottura, pochi mesi dopo, Salvati ha taciuto: «Sono vincolato al patto». Come già emerso, aveva dovuto gestire anche i rapporti molto tesi con una ex del cantante. «Un giorno Vasco mi telefonò – ha concluso Salvati –, ero in hotel a Rimini, e mi disse: ‘Ciao Stefano, ho deciso che non sarai più il mio manager. Dai, hai guadagnato tanto che sei a posto per dieci anni’. Fu un fulmine a ciel sereno, rimasi senza parole».
Prima di Salvati, l’autista di Vasco aveva detto che il rocker il 10 aprile non andò in ufficio, poi è toccato all’ex guardia del corpo Danilo D’Alessandro, detto Roccia: «Vissi il patto di riservatezza molto male, ero stato con lui 25 anni e nessuno mi aveva mai chiesto cose simili». Il Resto del Carlino