Anni di persecuzioni, botte e umiliazioni. Uno stillicidio di episodi di bullismo avvenuti all’interno di una classe dell’Istituto Manfredi Tanari, di cui ora sono stati riconosciuti responsabili tre compagni di classe della vittima, un ragazzo che oggi ha 24 anni.
All’esito di un lungo e difficile processo, il giudice Renato Poschi ha condannato R. B., D. M. R., e S. G., tutti coetanei della parte offesa, incensurati, residenti in città e provincia: i primi due a una pena di sette mesi, il terzo di otto. I ragazzi dovranno anche pagare le spese processuali, una provvisionale di 15mila euro al loro ex compagno ‘bullizzato’ e il risarcimento dei danni, da stabilire in sede civile. Le difese, però, hanno sempre contestato le accuse e annunciano ricorso in appello. L’indagine, condotta dal pm Beatrice Ronchi, è scaturita da un esposto presentato alla Procura dalla famiglia dello studente nel marzo del 2013, dopo un pestaggio che ha fatto emergere la difficile situazione che stava vivendo la vittima.
I fatti antecedenti al 2011, quando gli studenti erano ancora tutti minorenni, sono stati valutati dalla Procura di via del Pratello, ma questo fascicolo si è chiuso con l’archiviazione perché non è stato possibile documentare quanto riferito nella denuncia. Gli episodi successivi, invece, sono stati ricostruiti anche attraverso testimonianze dirette dei compagni, arrivando alle condanne pronunciate l’altro giorno. Tutti e tre gli imputati rispondevano di atti persecutori in concorso e due di loro, S. G. e D. M. R., anche di violenza privata. Il branco avrebbe preso di mira il compagno individuato come problematico, immaturo e vulnerabile: il suo disagio si sarebbe così aggravato, al punto da essere preso successivamente in carico dai servizi di salute mentale.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura, i tre bulli molestavano sistematicamente il loro coetaneo «con battute di scherno, prevaricazioni fisiche volte a umiliarlo, ingiurie e percosse, in modo da cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di paura, tanto che iniziava a isolarsi con sempre maggiore intensità. Il 18 febbraio del 2013 R. B. picchiava il compagno nello spogliatoio maschile al termine della lezione di educazione fisica, «senza alcuna ragione, con pugni al capo, quindi afferrandolo per un piede e trascinandolo per terra, infine colpendolo con altri calci e pugni e urlando ‘l’hai capito che non devi reagire, coglione di m…, figlio di t…‘». Un altro episodio particolarmente grave è quello avvenuto quattro giorni prima, quando gli altri due condannati bendarono e legarono mani e piedi lo studente sulla cattedra. Poi, la scena fu fotografata con il cellulare di una compagna di classe: l’immagine e la testimonianza della ragazza sono stati decisivi nell’ambito del processo. «Anche l’istituto scolastico non ci sembra esente da colpe – spiega l’avvocato Davide Bicocchi, che assiste la parte civile –. Noi abbiamo inviato da tempo una richiesta risarcitoria a cui finora non è stata data alcuna risposta». Gli altri ragazzi, un po’ impauriti e un po’ tolleranti, non avevano mai parlato prima della denuncia ma, si chiede la famiglia della vittima, possibile che nessuno a scuola avesse avuto sentore delle sopraffazioni prima del pestaggio nello spogliatoio? Il Resto del Carlino