Brescia. Il nipote: «Prima o poi lo ammazzo» Imprenditore sparito, la frase choc

carabinieri4FRA Mario Bozzoli e i nipoti Alex e Giacomo sono emersi «rapporti caratterizzati da dissidi profondi». Giacomo «avrebbe manifestato a terze persone il proposito di uccidere lo zio». Il decreto di perquisizione di case e auto è anche l’avviso che Alex, 36 anni, e Giacomo, 30, sono indagati dalla procura di Brescia per omicidio volontario dello zio Mario – sparito nella sua fonderia di Marcheno la sera dell’8 ottobre – e distruzione del cadavere.

PESANTI ipotesi di reato, in concorso con i due dipendenti presenti quella sera, Oscar Maggi e il senegalese Akwasi Aboagye, detto Abu. Alex e Giacomo sono figli di Adelio Bozzoli, fratello maggiore di Mario. Il primo abita nella fabbrica con la famiglia, Giacomo a Soiano del Lago. Senza esito le perquisizioni di abitazioni e auto. Solo otto banconote da 500 euro, trovate in casa di Alex, hanno richiamato l’attenzione dei carabinieri, che le hanno fotografate. Nulla di strano nel nuovo stabilimento a Bedizzole, battezzato Ifib, aperto da Adelio, non ancora in attività. «Siamo sbigottiti di essere indagati», le voci di Alex e Giacomo arrivano portate dalle persone più vicine. «Siamo consapevoli della nostra assoluta innocenza. Non abbiamo mai pronunciato minacce di morte nei confronti di nostro zio, né a lui direttamente né tanto meno con altre persone».
Oscar Maggi sarà il primo dei quattro indagati a essere ascoltato, martedì mattina. Oltre a condividere con gli altri gli ultimi minuti di vita pubblica di Mario Bozzoli, deve chiarire due circostanze. Dopo la sparizione del datore di lavoro ha mostrato una «inconsueta» disponibilità di denaro. Si è anche informato sulle temperature necessarie per la fusione del titanio. La presenza di particelle di titanio è una delle remote possibilità di trovare tracce di Bozzoli, se l’imprenditore fosse arso in uno dei due forni. A Bozzoli erano state impiantate due protesi dentarie, con componenti di titanio. Maggi, 38 anni, si è presentato in lacrime nello studio del difensore, l’avvocato Alberto Scapaticci. «Ero lì solo per lavorare, facevo il turno dalle 18 alle 8 del mattino. Sono sempre stato trattato bene, mai un rimprovero, mai un arretrato nei pagamenti. I rapporti coi colleghi? Ottimi. Adesso sono in cassa integrazione e mi arrangio con lavori saltuari. Quei soldi sono la pensione di un parente che mi sta aiutando».
Giuseppe Ghirardini, l’altra presenza di quella sera. Scomparso e trovato morto, avvelenato col cianuro. Si scava nei suoi rapporti col principale: voci parlano di un violento alterco, vicino allo scontro fisico, fra Bozzoli e Ghirardini, che lavorava su un carrello elevatore, una decina di giorni prima che l’imprenditore si smaterializzasse.

IL SOSTITUTO procuratore Alberto Rossi, titolare dell’indagine, prosegue sulla sua difficile strada. Quella dell’omicidio e del corpo nel forno, annotano gli avvisi di garanzia, è l’unica ipotesi «logicamente accreditabile». Il sequestro di persona è «non ipotizzabile stante la mancanza di richieste di riscatto». Tutto sarebbe dunque avvenuto all’interno della fabbrica di via Gitti. Con un interrogativo, uno dei tanti. I cani ‘molecolari’, dopo avere fiutato inutilmente le auto dei figli di Adelio Bozzoli, hanno puntato all’esterno, alle spalle dello stabilimento. Lo stesso hanno fatto il giorno dopo, salvo arrestarsi nella zona boschiva lungo il fiume Mella.

Resto del Carlino