LO HANNO trovato alle due e mezzo del pomeriggio. Morto con tutti i suoi misteri. Una delle squadre del Soccorso alpino impegnate nella ricerca ha scoperto il corpo di Giuseppe Ghirardini, 50 anni, nelle vicinanze di un torrente, in una zona boschiva alla località Case di Viso, sopra Ponte di Legno. Era a circa quattro chilometri dal luogo, la località Trass, lungo la Tonalina, dove era stata ritrovata la sua Suzuki Gran Vitara color grigio antracite. Sul corpo, rinvenuto bocconi, nessun segno apparente di violenza, nessuna lesione visibile. Ghirardini era vestito, aveva un bastone e portava gli stivaloni che aveva prelevato nella sua abitazione alla frazione Aleno di Marcheno. Oltre a essere appassionato di caccia alla lepre, era anche un fungaiolo e conosceva i luoghi, a un centinaio di chilometri da casa, dove ha finito di vivere. Il cellulare era in una tasca, spento come sempre quando l’uomo era sui monti. La sua auto, con le portiere accuratamente chiuse com’era abitudine del proprietario, era stata notata da un valligiano della zona già nel pomeriggio di mercoledì, il giorno della sparizione. Dopo i rilievi eseguiti ieri dal Ris, solo l’autopsia potrà dire se l’operaio è stato stroncato da un malore e se la sua fine segue la sparizione del datore di lavoro, Mario Bozzoli, unicamente per un’incredibile concatenazione di circostanze.
FINE della seconda parte del doppio giallo bresciano? Non ancora. Perché il medico legale accerterà le cause della morte di Giuseppe Ghirardini, il tossicologo darà il suo responso, ma non potranno scavare nell’animo di un uomo che sale in montagna in una giornata di pioggia, cammina per almeno un’ora e mezzo su un autentico tratturo, finisce di vivere in solitudine, nel gelo, in riva a un corso d’acqua. Quest’uomo, è la domanda, si portava dentro un segreto, un tormento, per qualcosa vista o conosciuta, che alla fine lo ha ucciso? Oppure tutto rientra nella fatalità? Ghirardini non aveva avuto una vita facile, segnata da una tragedia familiare e dalla rottura della relazione con la donna brasiliana che gli aveva dato un figlio. Lo sgomento per la sorte del suo principale potrebbe avergli inferto il colpo fatale.
Mario Bozzoli, titolare della fonderia Bozzoli srl con il fratello Adelio, viene visto per l’ultima volta attorno alle 19.15 dell’8 ottobre dai tre operai presenti, Giuseppe Ghirardini, Oscar Maggi, Agu, un giovane senegalese. Si avvia agli spogliatoi. Non si cambia. Il suo Suv rimane parcheggiato nel cortile. «Giuseppe – spiega la famiglia – è uscito verso le 23.30. Non sapeva della scomparsa. L’ha appresa solo a mezzogiorno del giorno dopo, da un vicino di casa che lavora nella protezione civile e ne ha parlato a pranzo alla sorella».
Mercoledì 14 ottobre. Alle 5.30 Ghirardini chiama l’amico di caccia Silvano Frola per informarsi della consueta battuta del mercoledì. Frola è dubbioso, piove senza soste. Consiglia a Giuseppe di parlarne con il cugino Silvano Frola. Ghirardini lo fa, il telefonino di Renato è spento. Quando, fra le 9 e le 9.30, Renato Frola si accorge della telefonata, richiama Ghirardini, ma trova il cellulare spento. Prova più tardi, su un altro portatile dell’amico, che suona a vuoto. I familiari di Giuseppe danno la loro spiegazione: quando era in montagna il loro congiunto spegneva il portatile, mentre l’altro apparecchio, era rimasto a casa. A quell’ora, dunque, Giuseppe Ghirardini è già in montagna con il telefonino spento o non coperto da segnale.
CI SONO DUE enigmi. Uno è legato proprio al cellulare. Alle 14.30 è contattabile. Tanto che Ghirardini riceve la telefonata della sorella Ernestina (agganciata dalla cella nella zona del Passo di Crocedomini) che gli chiede dove si trovi. La risposta è una bugia: «Sono a caccia». Perché? Da allora l’apparecchio risulta spento. Quel mercoledì Giuseppe Ghirardini è atteso nella caserma dei carabinieri di Gardone Valtrompia per essere ascoltato come testimone sulla sparizione di Mario Bozzoli. Nonostante questo appuntamento, sale in montagna.
Resto del Carlino