«NON CI SARÀ più un Papa dopo questo, lui è l’ultimo. Non dimenticatevi ciò che vi sto dicendo!». Così su Facebook scriveva Samet Imishti, il kosovaro arrestato a Hani I Helez (villaggio al confine con la Macedonia) con l’accusa di apologia del terrorismo e istigazione all’odio razziale. Questa è solo una delle frasi minacciose rivolte al Santo padre dall’uomo arrestato al termine di un’operazione condotta dalla Digos della questura di Brescia in collaborazione con personale della Direzione centrale della polizia di prevenzione unitamente ai reparti speciali della direzione nazionale antiterrorismo della polizia kosovara. Samet Imishti ha inneggiato alla jihad fino a pochi giorni fa e su Facebook ha pure postato la foto del figlio di dieci anni armato di kalashnikov. La didascalia? «Sarà il futuro Califfo». All’indomani degli attentati che hanno insanguinato Parigi il kosovaro aveva gioito: «Parigi a lutto, la torre senza luci, 158 morti, questo è solo l’inizio». Parole violente a cui faceva seguito un altro post altrettanto minaccioso. «Miscredenti, capirete che l’Islam non si combatte. Avete continuato a bombardare e questo è il risultato».
SONO quattro le persone coinvolte nell’inchiesta. Oltre a Samet Imishti, ci sono anche suo fratello Ismail e suo nipote Mergim. Il primo ha ricevuto un provvedimento di espulsione dal ministro degli Interni per terrorismo, per il secondo la richiesta di espulsione è arrivata dal questore di Brescia per gravi motivi di ordine pubblico. Padre e figlio sono domiciliati a Chiari, in provincia di Brescia, in un appartamento dove fino allo scorso aprile ha vissuto anche il parente arrestato che, come loro, faceva il muratore. È stata invece disposta la sorveglianza speciale per cinque anni per Arben Suma, macedone residente ad Arzignano (nel Vicentino) ritenuto il più estremista del gruppo.
L’indagine della procura di Brescia ha preso il via nel 2014 quando Samet Imishti si era iscritto su Facebook a un gruppo radicale pro Isis facendo propaganda tra i musulmani dei Balcani. Nel corso dell’operazione sono state recuperate in casa di Imishti anche due armi: un fucile di precisione russo e una pistola. «La la presenza di armi – ha sottolineato il dirigente della Digos, Giovanni De Stavola – dimostra che potevano entrare in azione».
«Operazione importante: è la prima volta che le autorità di Italia e Kosovo, hanno collaborato anche nella fase dell’esecuzione dei provvedimenti», ha sottolineato il procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno. Le indagini non si sono esaurite con i provvedimenti delle scorse ore (ci sono state anche due perquisizioni a Perugia nei confronti di due macedoni). «Non sono inchieste che si fermano» ha spiegato il questore di Brescia, Carmine Esposito. Infatti, fonti di intelligence straniere hanno riferito che almeno 120 combattenti kosovari sono tornati dalla Siria, con seri pericoli per la sicurezza e il rischio di attentati in Kosovo e nel resto dei Balcani.
TRA I RIMPATRIATI vi sarebbero due figure di spicco della galassia terroristica kosovara: Lavdrim Muhaxheri e Aqif Axhami, per i quali esiste un mandato di cattura internazionale. Il nome del primo ricorre anche nelle carte dell’inchiesta di Brescia: secondo la Digos è «il principale riferimento dei combattenti proveniienti dal quadro balcanico» e i quattro kosovari fermati sarebbero stati in qualche modo in contatto con lui.
Resto del Carlino