La gestione della vecchia Banca delle Marche, fagocitata da un buco di un miliardo di euro e poi salvata dal famoso decreto, costa il primo processo a Massimo Bianconi, potentissimo direttore generale dell’istituto di credito marchigiano fino al 2012. Ieri il manager è stato rinviato a giudizio per corruzione tra privati insieme agli imprenditori Vittorio Casale e Davide Degennaro: avrebbe indotto Banca Marche a concedere crediti senza reali garanzie per 15 milioni a favore dei due imprenditori, in cambio di un’operazione immobiliare che, secondo l’accusa, gli aveva fatto guadagnare 4 milioni di euro.
La corruzione sarebbe avvenuta attraverso la vendita di un immobile, nel quartiere Parioli di Roma, del valore di 7 milioni di euro, ceduto da Casale a una società intestata alla figlia di Bianconi, che poi ne avrebbe simulato la vendita a Degennaro. Il processo si aprirà il 18 gennaio. Ci sono voluti quattro anni di indagini per portare Bianconi, per la prima volta, davanti ai giudici del Tribunale di Ancona. Le accuse mosse all’ex dg rappresentano uno stralcio dell’inchiesta madre, non ancora conclusa, che vede indagate 36 persone (compreso lo stesso Bianconi) per reati che vanno dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta. In ballo c’è una terza inchiesta per truffa verso i risparmiatori. Il procedimento che inizierà a gennaio rappresenta dunque il primo capitolo di una lunga saga, la prima occasione per portare in aula il vertice della vecchia Banca Marche.
Il rinvio a giudizio, deciso ieri dal gup Paola Moscaroli, è arrivato al termine di una combattutissima udienza che ha visto scontrarsi i legali della difesa e i sostituti procuratori Serena Bizzarri, Andrea Laurino e Marco Pucilli, titolari delle inchieste sul default della banca. In particolare l’avvocato Borzone, legale di Bianconi, ha eccepito l’assenza, tra gli allegati al capo di imputazione, delle pratiche di mutuo concesso da Banca Marche ai due imprenditori. I toni si sono fatti particolarmente aspri quando il giudice ha rigettato la richiesta di acquisizione di nuovi documenti, istanza che se accolta avrebbe fatto slittare per la quarta volta l’udienza preliminare. Borzone parla già di un «processo farsa».