Bufera sullo Ior, prelati prestanomi per eludere la normativa antiriciclaggio

Bufera sullo Ior, prelati prestanomi per eludere la normativa antiriciclaggio

Uno di questi è “Don Bancomat”, il sacerdote che spostava grandi cifre per Diego Anemone.

Il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro in via preventiva dei 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito Artigiano Spa. E l’inchiesta si allarga visto che altre presunte operazioni sospette dello banca vaticana sono finite nel mirino della magistratura romana: il sospetto degli inquirenti è che fosse una prassi dello Ior quella di eludere le normative antiriciclaggio.

Anzi, si tratta di più di un sospetto visto che gli inquirenti hanno individuato almeno una decina di operazioni analoghe a quelle che hanno portato al sequestro dei 23 milioni.

Potrebbe trattarsi addirittura di una prassi dello Ior. A carico dell’istituto, infatti, ci sarebbero decine di movimentazioni bancarie dove – al contrario di quanto previsto dalla legge – non viene indicato nè il beneficiario dei prelevamenti, nè le causali delle operazioni.

Non solo. Secondo quanto accertato dagli inquirenti emergerebbe che molti dei titolari dei conti aperti presso lo Ior siano dei prestanomi di clienti ricchi e famosi. E in molti casi, questi prestanome sono addirittura dei prelati.

È il caso di don Biasini (nella foto in homepage), il cosiddetto Don Bancomat, colui che per l’imprenditore de “la cricca” coinvolta nell’inchiesta Grandi appalti, Diego Anemnone, spostava grandi cifre dai conti della banca.

Il rpimo sequestro

Il sequestro era stato disposto dal Gip del Tribunale di Roma Maria Teresa Covatta, nell’ambito di un’inchiesta su presunte omissioni legate alle norme antiriciclaggio da parte della banca vaticana.

Lo Ior, nei giorni scorsi, aveva chiesto il dissequestro del denaro e la revoca del provvedimento, sulla base del fatto che si tratta di un “sequestro illegittimo”, in quanto “la premessa del sequestro sarebbe il riciclaggio da parte dello Ior, e questo non e’ stato dimostrato”.

Oggi il tribunale del Riesame dà torto alla banca vaticana e conferma il sequestro.

Mentre il Vaticano, in una nota, ribadisce che “sui fondi dello Ior si chiarirà tutto”.

Altre 2 operazioni sospette

Ma ce n’è di più. Perché altre presunte operazioni sospette dello Ior sono finite nel mirino della magistratura romana, titolare degli accertamenti sui 23 milioni di euro depositati su un conto del Credito Artigiano e per i quali il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro preventivo.

Le operazioni sospette in questione risalgono rispettivamente al novembre 2009 ed all’ottobre dello stesso anno e riguardano assegni per 300 mila euro incassati su un conto dello Ior presso un’agenzia Unicredit e un prelievo di 600 mila euro da un conto aperto in Intesa San Paolo.

Una persona fantasma

La circostanza è emersa dalla documentazione depositata dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal sostituto Stefano Rocco Fava al collegio competente sulla legittimità dei provvedimenti restrittivi in sede di esame del ricorso presentato dai legali della banca Vaticana.

In particolare, i magistrati avrebbero accertato che il conto presso una filiale Unicredit, sul quale sono stati movimentati e incassati gli assegni per un totale di 300 mila euro, ha come titolare un religioso. Gli assegni per 300 mila euro, fondi provenienti da San Marino come accertato dai magistrati, sarebbero stati negoziati da tale Maria Rossi, indicata come la madre del reverendo, ma risultata inesistente.

Per quanto riguarda il prelievo di 600 mila euro da un conto aperto in Intesa San Paolo non sarebbero state rispettate le indicazioni specifiche, previste dalla normativa antiriciclaggio vigente, di natura e scopi.

Le notizie precedenti: la prima bufera sullo Ior

Bufera sullo Ior, la banca di Stato del Vaticano. Il presidente dell’istituto, Ettore Gotti Tedeschi (nella foto in home page), e il direttore generale Paolo Cipriani, sono indagati dalla Procura di Roma per violazione del decreto legislativo 231 del 2007, la normativa di attuazione della direttiva Ue sulla prevenzione del riciclaggio.Sono infatti accusati di aver omesso il soggetto per il quale hanno messo in atto due operazioni da 23 milioni di euro.

L’inchiesta della Procura

La loro iscrizione è legata al sequestro preventivo, firmato dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Stefano Rocco Fava ed eseguito ieri, di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) che si trovavano su un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano spa.

È in assoluto la prima iniziativa che chiama in causa la banca vaticana e i suoi vertici da quando, nel 2003, la Cassazione ha attribuito alla giurisdizione italiana la competenza sullo Ior.

Due le operazioni sospette

A destare l’attenzione dell’autorità giudiziaria sono state due operazioni nelle quali è stato commesso il reato omissivo previsto dalla normativa antiriciclaggio, per le quali non è stato indicato il nome del soggeto per il quale si eseguivano le operazioni.

Le due operazioni nel mirino sono il trasferimento di 20 milioni alla JP Morgan Frankfurt, e di altri 3 alla Banca del Fucino.

La segnalazione della Banca d’Italia

L’inchiesta ha preso il via dalla segnalazione effettuata dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Ciò ha consentito al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza e alla Procura romana di attivarsi.

È la prima volta in Italia che viene attuata una iniziativa del genere nei confronti dello Ior.

La Santa Sede si dice perplessa

Ad ogni modo, in una nota la Santa Sede “esprime la massima fiducia nel presidente e nel direttore generale dello Ior”. È quanto si legge in un comunicato della Segreteria di Stato Vaticana.

Non solo. La Santa Sede “manifesta perplessità e meraviglia per l’iniziativa della Procura di Roma, tenendo conto che i dati informativi necessari sono già disponibili presso l’ufficio competente della Banca d’Italia, e operazioni analoghe hanno luogo correntemente con altri istituti di credito italiani”.

Quanto poi agli “importi citati – prosegue la nota – si fa presente che si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior”.

Il salvagente