Calcio. Conte: un calcio alla paura

ConteA SENTIR parlare Antonio Conte di terrorismo, guerra, lotta e paura, il tono è quello del generale che invita i propri soldati a combattere, li esorta, e li spinge a «non darla vinta al male». Come se fosse stato nello spogliatoio prima di una partita di calcio, come quella di stasera a Bologna con la Romania, il ct azzurro sembrava stesse parlando ai propri giocatori: ce lo immaginiamo così, in effetti, e con le dovute proporzioni. Alla fine lui è un comandante e la squadra il manipolo di fedelissimi pronti a dare tutto per lui. E come di solito si rivolge ai suoi calciatori, ieri ha quasi rivolto un appello all’Italia, o forse all’Europa intera, con il cuore rivolto alla Francia: «Abbiamo vissuto con sgomento quello che è successo a Parigi, sono allibito, ma non dobbiamo mollare. Questi atti generano paura, ma non è il momento di farsi prendere dal panico, piuttosto di combattere». Lo sguardo è serio e Conte è uno di quelli che se ne intende, quando bisogna caricare un ambiente e trasmettere energia. Piaccia o non piaccia, dà sicurezza, non ha paura, rispolvera il vecchio concetto del Bene contro il Male ma forse, tra tutti quelli che hanno parlato finora, è stato tra i più efficaci: «Non facciamoci intimidire dai terroristi. La paura è naturale: ma sono convinto che bisogna combattere contro questi atti inspiegabili. Andremo avanti senza farci intimidire da nessuno». Insomma, come aveva fatto il presidente della Figc Tavecchio in mattinata, anche in serata ieri sono stati sciolti tutti i dubbi sulla missione (a questo punto la parola assume il reale significato) in Francia nel 2016. Con l’ultimo avvertimento, quanto mai opportuno, di Conte: «Il tempo che passa da qui agli Europei non deve farci abbassare la guardia e la soglia di attenzione». Come dire: i prossimi mesi di (possibile) apparente tranquillità rischiano di essere la quiete prima della tempesta, e decideranno di colpire proprio durante la manifestazione.
Paradossalmente, Conte tentenna solo quando deve parlare del proprio futuro e del proprio contratto. Tanto sicuro quando deve fare scudo contro il terrorismo, quanto enigamtico nelle risposte alle domande sul rinnovo. «Dipenderà dai risultati, la mia permanenza qui è figlia di ciò che faremo all’Europeo» si affretta a dire il ct, per poi però traballare quando gli si fa notare che a metà luglio, quando l’Europeo finirà, molti giochi sulle panchine d’Europa saranno già fatti: «Ovviamente parlerò anche prima con la federazione, il tempo sarà galantuomo per decidere». Ma firma o no prima di andare in Francia? «Non lo so ancora, ma non voglio fare come Prandelli, che un anno e mezzo fa ha dato le dimissioni due mesi dopo aver rinnovato il contratto». Il futuro di Conte resta davvero un rebus: la sensazione è che, in caso di ottimo risultato agli Europei, possa decidere di restare; altrimenti, lascerà l’azzurro. Alla fine, dovesse uscire ai gironi o agli ottavi, quindi entro la fine di giugno, avrebbe a quel punto tutto il tempo di accasarsi da qualche altra parte.
Ma sono impressioni, idee che avranno bisogno di mesi per concretizzarsi. Nell’immediato c’è l’Europeo che va vinto, e un amore per la nazionale che, comunque vada a finire, è sbocciato: «Mi sono calato bene nel ruolo di ct, ci è voluto un periodo di assestamento ma non pensavo che mi sarebbe piaciuto così tanto. Ho a disposizione grandi calciatori, il mio lavoro mi gratifica e questo è fondamentale».

La Gazzetta dello Sport