SE I CATTIVI pensieri fossero tafani, anche fuori stagione, Sinisa Mihajlovic rischierebbe lo choc anafilattico per estesa ripunzecchiatura. Ha proprio ragione lui: c’è un’aria strana attorno al Milan. Ma anche dentro il Milan. Il calcio è una vertigine di episodi imponderabili che determinano esiti e destini su varia scala, dal risultato di una partita alla deriva dei continenti. Ora, nessuno incolperà il buon Miha per gli effetti generici della tettonica a placche – sarebbe un accanimento – ma la sconfitta di sabato sera contro una Juventus non fulgida, eh bé, ha ringalluzzito il partito dei detrattori del serbo. I quali parlano di un Silvio Berlusconi infuriato (quello del Grande Capo fuori dai gàngheri dopo una sconfitta è ormai una sacra rappresentazione di successo: «Quando si perde è meglio stare zitti») e dei soliti tecnici già pronti a sedersi sulla torturata panca: in attesa girano in tondo come le ore negli orologici gotici. Dice spesso Protàgora Galliani: chi perde ha sempre torto. Dunque Miha e i suoi rappresentanti in campo hanno avuto il torto di perdere un confronto che non sarà stato determinante per alcunché, ma era comunque di quelli i cui punti valgono il doppio. Come le sconfitte, con esponente negativo. Di Sinisa ha perso anche il modulo alato, tridentino, che doveva dare respiro puntuto alla manovra d’offesa, ma che alle viste di Buffon, e già anche qualche metro prima, è rigagnolato in una conclusione e mezza in novanta minuti. Un po’ poco per fare paura alla Signora o a chicchessia. Eppure, a fresco modello vincente, c’era la provvida sera delll’Olimpico, contro la Lazio. Dove s’era avuta l’illusione strutturata di un Milan corrente, segnante e vincente. Dopo il pari nudo di reti con l’Atalanta a San Siro, che anche agli osservatori meno acuti era parso una retromarcia, la casuale e causale sconfitta contro la Juventus rimette il Milan in vecchie angustie e senza passare dal via. Aggiungiamo: se è vero, come si celia ma neanche tanto, che la modulistica è stata in parte suggerita dal Silvio, allora ha perso anche lui, consulente tecnico, ma non sta bene dirlo. Aria strana e secchezza delle fauci. Il Milan, né carne né sushi, non riesce a dare un minimo di continuità di risultati, alzando il tono del suo gioco incompiuto. Pur dando atto a Mihajlovic di lavorarci come un matto, mettendoci la faccia e il suo orgoglio di combattente, l’è dura. Di grattacapi (che vediamo noi scribi) ce n’è per ogni reparto. Dalla retroguardia all’offesa, sono magagne a macchia di leopardo, perché oltre alla macchia c’è anche il resto del leopardo ed è almeno questo un buon segno in prospettiva. Donnarumma in porta (e dove sennò?) è uno straordinario divenire di mani adolescenti; Romagnoli al centro della difesa è sempre più avviato a diventare totem di reparto, ma finora non ha avuto il supporto costante di un omologo a fianco. A centrocampo le cospicue qualità di Montolivo restano sempre tarpate da qualcosa, il lanzo Kucka è tra i pochi che corrono e combattono finché fiato non lo separi dalla realtà; Bertolacci, quando c’è, da sempre più vive notizie di sé, ma l’altra sera non c’era e il bravo Bonaventura non ha reso come ci si aspettava nell’arretramento tattico allestito per l’occasione. Per tacer di Poli e di De Jong, fattisi sottili e dissolventi nelle scelte del tecnico. E l’attacco? Bacca non si discute, anche se sabato ha fatto il portalettere senza lettere e le alternative mancano, con Luiz Adriano infreddolito e spaesato. E con Balotelli convalescente dalla pubalgia che gli ha lasciato un punto interrogativo sospeso (sulla testa). Quasi con moto compulsivo guardiamo al mercato di gennaio, facendo la lista della spesa altrui… Serve una punta, serve un centrocampista, non serve un portiere. I nomi sono i soliti che girano. Teniamo nudi nomi. Ma l’aria rimane strana. Da qui alla Sampdoria, un’altra settimana di spifferi e cigolii.
