«Cambiamento d’epoca», purché non sia un mantra! … di Don Gabriele Mangiarotti

«La prima condizione perché l’eclissi abbia termine e il cattolicesimo esca dalla sua crisi, è che la Chiesa riprenda la sua funzione: che non è di adeguarsi al mondo, ma al contrario di contrastarlo» (Augusto Del Noce, Tramonto o Eclissi dei Valori Tradizionali?)

 Ci sono formule che sembrano conquistare il pensiero comune e sembrano un punto di non ritorno, per cui chi le contesta o comunque le mette in discussione sembra come se oggi volesse sostenere che il Sole ruoti intorno alla terra.

Basta pensare all’espressione «Siamo non in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca»: oramai fa parte del pensiero comune e guai a metterla in discussione.

Bene, neppure io lo farò, a una condizione però: che non sia il «cambiamento» a metterci in discussione, come se fosse l’orizzonte inevitabile della nostra azione (sarebbe qui interessante approfondire la cosiddetta questione del «modernismo»), ma come la visione di quell’«avversario» con cui fare i conti e con cui combattere. Perché, sì, di una lotta e di un combattimento si tratta, e le armi sono tutte nella nostra storia cristiana.

Penso a quanto scriveva anni fa il grande Pasternak: «Aspettate, ve lo dico io quello che penso. Penso che se la belva che dorme nell’uomo si potesse fermare con una minaccia, la minaccia della prigione o del castigo d’oltretomba, poco importa quale, l’emblema più alto dell’umanità sarebbe un domatore da circo con la frusta, e non un profeta che ha sacrificato se stesso. Ma la questione sta in questo, che, per secoli, non il bastone ma una musica ha posto l’uomo al di sopra della bestia e l’ha portato in alto: una musica, l’irresistibile forza della verità disarmata, il potere d’attrazione del suo esempio. Finora si riteneva che la cosa essenziale del Vangelo fossero le massime e le regole morali contenute nei comandamenti, mentre per me la cosa principale è che Cristo parla con parabole tratte dalla vita d’ogni giorno, spiegando la verità al lume dell’esistenza quotidiana. Alla base di questo sta l’idea che i legami mortali sono immortali e che la vita è simbolica perché ha un significato.»

È venuto l’uomo, Gesù, e con lui il permanente «cambiamento d’epoca», perché Lui è irriducibile al mondo e così lo sono e lo devono essere i suoi seguaci.

Per capire in sintesi le caratteristiche di questo «cambiamento» ci possono aiutare le riflessioni di Douglas Murray e di Shoshana Zuboff.

Ecco in sintesi il loro pensiero:

«Negli ultimi anni è diventato chiaro che c’è una guerra in corso: una guerra all’Occidente. Non è una guerra come quelle del passato, in cui gli eserciti si scontrano e le vittorie vengono proclamate a gran voce. È una guerra culturale, e viene condotta implacabilmente contro tutte le radici della tradizione occidentale e contro tutto ciò che di buono la tradizione occidentale ha prodotto […]. [Parlo] di quello che succede quando una delle parti coinvolte in una guerra fredda – la parte della democrazia, della ragione, dei diritti e dei principi universali – si arrende troppo presto. Troppo spesso, inquadriamo questa lotta in modo completamente sbagliato. Permettiamo che venga definita temporanea o marginale oppure la liquidiamo come una guerra culturale. Travisiamo gli obiettivi di chi vi prende parte o sminuiamo il ruolo che avrà nelle vite delle generazioni future. Eppure la posta in gioco è alta come quella di ogni lotta del XX secolo, e coinvolge molti degli stessi principi – addirittura molti degli stessi cattivi attori […].

Dall’Australia al Canada, all’America e all’Europa tutta, una nuova generazione ha assimilato l’idea che certi aspetti della tradizione occidentale (come «i diritti umani») siano una legge storica e universale che è stata elaborata dovunque. Col tempo, si è arrivati a pensare che la tradizione occidentale che ha sviluppato queste norme non è riuscita univocamente a rispettarle e che le culture «indigene» non occidentali sono (tra le altre cose) più pure e più illuminate di quanto la cultura occidentale potrà mai essere […].

La cultura che ha regalato al mondo progressi scientifici e medici salvavita, e un mercato libero che ha fatto uscire dalla povertà miliardi di persone in tutto il mondo e che ci ha offerto la più grande fioritura del pensiero viene messa dappertutto in questione attraverso il filtro della più profonda ostilità e del più profondo semplicismo. La cultura che ha dato origine a Michelangelo, Leonardo, Bernini e Bach viene dipinta come se non avesse nulla di importante da dire […].

Tutti gli aspetti della tradizione occidentale ormai subiscono lo stesso attacco. La tradizione giudeo-cristiana cheha costituito una pietra miliare della tradizione occidentale si trova sottoposta a uno studiato assalto e una feroce denigrazione. Ma accade lo stesso anche per la tradizione del secolarismo e dell’Illuminismo, che produssero una grande fioritura della politica, delle scienze e dell’arte. E questo ha delle conseguenze. Le nuove generazioni non sembrano capire neppure i più basilari principi del libero pensiero e della libertà d’espressione […].

Questa guerra all’Occidente ha molte sfaccettature. Viene portata avanti attraverso i media e le stazioni radio, il sistema educativo, fin dalla scuola materna. Imperversa nell’ambito della cultura in generale, mentre tutte le più importanti istituzioni culturali sono sottoposte a pressioni o scelgono volontariamente di prendere le distanze dal loro passato.» (Douglas Murray, Guerra all’Occidente)

 

E Shoshana Zuboff, una delle più acute ricercatrici sul tema della comunicazione e dei social, così si esprime:

«Si parla molto di “sesta estinzione”: i vertebrati si stanno estinguendo con una velocità mai vista dalla fine dei dinosauri. È un cataclisma conseguenza dei metodi incauti e opportunistici, che pure venivano ritenuti inevitabili, con i quali l’industrializzazione si è imposta sulla natura per cambiare i mercati. Il potere strumentalizzante … sembra presagire un altro tipo di estinzione. La “settima estinzione” non riguarderà la natura, bensì la parte più importante della natura umana: la volontà di volere, la santità dell’individuo, i legami, l’intimità, la socialità che ci lega l’un l’altro attraverso le promesse e la fiducia. Questo futuro morirà, ancora una volta in modo non intenzionale […].

Viviamo in un’epoca nella quale il capitalismo della sorveglianza e il suo potere strumentalizzante sembrano invincibili. Se vogliamo essere coraggiosi come dice Orwell, non dobbiamo cedere il nostro futuro a un potere illegittimo. Dobbiamo rompere un incantesimo fatto di fascino, impotenza, rassegnazione e insensibilità. Possiamo farlo cercando di essere un ostacolo, rifiutandoci di dare il via libera a questo sistema coercitivo. Per dimostrarci coraggiosi dobbiamo opporci agli espropri che umiliano l’esperienza umana. Opposizione, coraggio e punti di riferimento sono le risorse che ci servono per lavorare insieme a dichiarazioni sintetiche e rivendicare il futuro digitale come un luogo umano, chiedere che il capitalismo digitale operi come forza inclusiva devota alle persone che deve servire, e difendere la divisione dell’apprendimento e del sapere come risorsa per rendere vitale la democrazia.» (Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza)

 

Ho riportato il pensiero di due studiosi laici, e sono riflessioni acute, drammatiche e condivisibili.

 

In questo «cambiamento d’epoca» è indispensabile capire l’«avversario», certamente, ma soprattutto sapere chi siamo, e attingere alla storia di bene che la nostra tradizione ci documenta. Penso sempre che a San Marino, quando sembrava che l’odio segnasse la vita in maniera invincibile, si è sviluppata una catena di solidarietà e di accoglienza che ha significato per moltissime persone la possibilità di una vita dignitosa, e per tanti fratelli ebrei anche la certa sopravvivenza.

 

Come ci ricorda Joseph Ratzinger, nella sua antica «profezia»:

«Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. … L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!» (J. Ratzinger, Fede e futuro, pp. 112-113)

 

In questo cambiamento d’epoca sono solo i nostri cuori cambiati dalla speranza. E tutto quanto ci è necessario, ricorda Pasternak, è nel cristianesimo vissuto testimoniato dai santi.

 

don Gabriele Mangiarotti