E’ accusato di tentata estorsione ai danni di un imprenditore che era anche uno dei suoi clienti
L’inchiesta sulla camorra a Rimini guadagna anche gli insospettabili. Un commercialista riminese è accusato di avere fatto da ‘mediatore’ tra il clan camorristico dei Vallefuoco e una delle vittime, un noto commerciante di abbigliamento riminese, entrambi suoi clienti.
Secondo gli inquirenti, avrebbe fatto ‘pressioni’ affinchè l’imprenditore pagasse il debito. I carabinieri del Ros di Bologna hanno bussato a casa sua alle quattro di martedì mattina, perquisendo sia l’appartamento che lo studio, e sequestrando una marea di documentazione con la duplicazione di tutti i server. L’accusa nei suoi confronti è quella di tentata estorsione e tentata rapina. E fa riferimento a una somma di 75mila euro (con interesse mensile del 20 per cento) che l’imprenditore doveva pagare a Francesco Vallefuoco, a capo di uno dei clan che avevano steso le mani sulla città. Secondo la ricostruzione dei militari, sarebbero stati proprio il commercialista e un altro dei presunti camorristi arrestati, Luigi Luciano, alla presenza di un terzo indagato (un sammarinese), a cercare di convincere l’imprenditore a saldare parte del debito cedendo il suo appartamento.
Una ‘proposta’ che l’uomo aveva rifiutato, dicono rischiando grosso. Il professionista però respingerebbe tutte le accuse, giurando di non sapere cosa ci fosse dietro e di avere soltanto consigliato all’imprenditore di saldare il debito. Ma per i Ros, lui non poteva non sapere quale fosse il ‘contesto’ in cui si muoveva quella gente, camorristi di professione che stavano mettendo a terra la loro vittima, cercando di portargli via anche la casa.
Nel mirino dei clan, anche San Marino, per la precisione Fin Capital, che a detta degli investigatori ‘interagiva’ anche con il clan Vallefuoco e che nell’estate scorsa era diventata oggetto di interesse anche dei Casalesi. Non se n’era fatto niente perchè le autorità sammarinesi l’avevano commissariata, ma ora si scopre che tra gli indagati dell’inchiesta dei Ros c’è anche il nome del proprietario di quella finanziaria, il notaio Livio Baciocchi, rinchiuso a San Vittore con l’accusa di bancarotta fraudolenta, per un’inchiesta della Guardia di Finanza di Terni.
Ieri sera, i carabinieri stavano ancora sentendo gli imprenditori vittime dei tre clan che con un patto di mafia si erano spartiti la ‘torta’ della provincia di Rimini. Sarebbero a decine, anche se sull’ingenuità di alcuni di loro, le divise hanno molti dubbi. Oltre a non avere denunciato le estorsioni, le violenze, i pestaggi e i ricatti subiti, non sarebbero pochi quelli che non si sono fatti troppe domande sull’origine di quei contanti che gli ‘amici’ napoletani mettevano loro in mano. Vuoi perchè avevano bisogno di soldi, vuoi perchè gli conveniva, hanno preso i quattrini turandosi il naso. Quando si sono resi conto che stavano trattando con mafiosi veri, era ormai troppo tardi. La ragnatela nella quale erano finiti invischiati era talmente perfetta e pericolosa che non c’era più nulla da fare. Tranne che denunciarli. Cosa però che non hanno fatto, nessuno si è preso la briga di bussare alla porta dei carabinieri per chiedere aiuto. Il sintomo inquietante di una realtà economica a quanto pare troppo permeabile alla criminalità organizzata.
Oggi cominceranno gli interrogatori di garanzia dei dieci arrestati (oltre ad altrettanti indagati, tra cui un altro sammarinese e uno residente a Bellaria). Il primo sarà quello di uno dei presunti boss, Francesco Vallefuoco, a capo dell’omonimo clan, difeso dall’avvocato Stefano Caroli. Uno degli ‘stanziali’, così come Bruno Platone che danno legato ai Mariniello, e Luigi Luciano. Gli altri sette si limitavano a salire da Napoli quando c’era bisogno di ‘forza lavoro’.