Cantiere Kosovo

«In Afghanistan c’era la guerra. Qui la guerra non la vedo». Daniel è caporalmaggiore dell’esercito polacco e guida l’unità chiamata a rafforzare i controlli su strada alle porte di Mitrovica. A pochi metri dal posto di blocco si erge maestosa una croce di ferro, che segna la ‘frontiera’ – puramente culturale – tra il Kosovo serbo, ortodosso, e quello albanese, musulmano (ma non solo). Qui, a luglio, si sono concentrati oltre 100 manifestanti, uno dei vari grumi di disordini scoppiati intorno alla disputa sulle carte d’identità e sulle targhe delle auto — la prima risolta, la seconda ancora no. La NATO, attraverso la missione KFOR, sta discretamente rafforzando i suoi effettivi nel Paese. Perché la guerra, come dice Daniel, in Kosovo non c’è più.

   Ma non si sa mai.

   Nemmeno due milioni di persone, quattro secoli di appartenenza all’impero ottomano, il limbo dell’autonomia all’interno della Yugoslavia, la guerra con la Serbia, l’indipendenza nel 2008 e poi la lunga marcia verso la piena sovranità. Il Kosovo, oggi, è ancora la grande incompiuta dei Balcani occidentali. Circa la metà delle nazioni rappresentate all’ONU non lo riconosce, Russia (con Belgrado, naturalmente) in testa. E cinque di queste fanno parte dell’Unione Europea. Neppure la principale compagnia di telefonia mobile belga ha le idee chiare, visto che non appena si passa il ponte centrale di Mitrovica, vigilato dall’Unità Specializzata Multinazionale dei Carabinieri (MSU), il cellulare trilla: «Benvenuti in Serbia» recita il messaggio. Peccato che la frontiera vera sta 70 chilometri più a nord. In mezzo una specie di terra di nessuno, disseminata di bandiere serbe ma formalmente sotto il controllo di Pristina: a pochi metri dal check-point di Brnjak, dove ufficialmente termina il Kosovo, la polizia kosovara ha una specie di contro-dogana. Ormai, infatti, le forze locali hanno la prima responsabilità d’intervento in caso di disordini: un passo avanti importante nel viaggio verso la normalità. In seconda battuta c’è la missione Eulex dell’Unione Europea. Se poi c’è bisogno, la rete di sicurezza continua a fornirla la NATO con le truppe di KFOR (compresi i Carabinieri).


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