Il recente e contorto dibattito sulla riforma IGR, con il suo corollario di premi SMAC per benedire gli acquisti fatti sul Titano, ha avuto un merito indiscutibile: ha scoperchiato, con la grazia di un elefante in una cristalleria, quel “Vaso di Pandora” che sembrava aperto solo nelle lamentele, nei passaparola, negli sfoghi della “gente comune” – intesa, ovviamente, come sammarinese medio (così evitiamo sdegnate stupidaggini nei commenti social!) -: il costo della “spesa” più alto che oltre confine. Difatti, la domanda che ogni sammarinese si pone davanti allo scontrino del supermercato, è perché, in nell’antica terra di libertà e di presunti vantaggi, fare la spesa costi di più che altrove.

Dunque, il dibattito sulla recente riforma IGR, ha amplificato un lamento che serpeggia da tanto sul Titano, un mantra sussurrato tra gli scaffali del supermercato e urlato sui social con la furia di un gladiatore nell’arena: “Ma come diavolo è possibile che il prosciutto a San Marino costi più che a Rimini?“. È la domanda delle cento pistole, il Sacro Graal dell’indignazione popolare, il termometro di un malcontento che le bizantine riforme fiscali e i premi SMAC riescono a placare quanto un cerotto su una gamba amputata.
La logica, in effetti, almeno a prima vista e nella superficialità “social”, sembra fare a pugni con la realtà. Uno si immagina il Titano come una sorta di isola del tesoro fiscale: imposte più leggere, benzina a buon mercato, un costo dell’energia che non richiede un mutuo. Un ecosistema perfetto dove ogni prezzo dovrebbe essere, per grazia divina e legislativa, più basso che altrove. Eppure, davanti al banco frigo, il sogno si infrange. Il prezzo al chilo del – ad esempio – crudo di Parma, sembra aver fatto un’indigestione di elio e fluttua ben al di sopra delle quotazioni della vicina Italia.
La spiegazione reale, quella da servire con il caffè del mattino (ma che nessuno sembra aver mai ascoltato), è una melodia che dovrebbe risuonare come un ritornello… Un ritornello che racconta di un Golia chiamato “Grande Distribuzione Organizzata” che, forte dei suoi mille tentacoli, si presenta dai fornitori e compra a prezzi da saldo intere mandrie di prosciutti, mentre il Davide sammarinese, con la sua piccola fionda, riesce a malapena a catturare qualche coscia. Lo “sconto-quantità”, del resto, è un’arma così potente da trasformare il più vantaggioso dei regimi fiscali in un fuscello spazzato via dal vento.
E ci mancherebbe altro che si pensasse male. L’idea che in un mercato così piccolo, dove i giocatori si contano sulle dita di una mano, possa essersi creato un tacito e signorile “patto di non belligeranza” per mantenere i profitti a un’altitudine da Dc9, è ovviamente roba da complottisti da tastiera, qualunquismo da quattro soldi. No, no, qui siamo tra gentiluomini. È tutta colpa dei volumi d’acquisto, sia chiaro. Anche se, talvolta, a “pensar male…”
E allora eccola lì, la scomoda verità servita su un vassoio d’argento, tra una fetta di prosciutto troppo caro e un formaggio dai prezzi esotici: non si possono avere “capre e cavoli”. Il punto non è la comodità del negozietto sotto casa, perché vista l’esiguità del territorio sammarinese anche un Lidl o un Eurospin, se sbarcassero sul Titano, avrebbero un indirizzo e un parcheggio comodo. No, il punto è un altro. È il prezzo non scritto che si paga per conservare l’intero “acquario”.
È l’obolo versato sull’altare della “sammarinesità”, un’offerta per proteggere non solo i posti di lavoro del settore alimentare, ma anche quelli dell’abbigliamento, della ferramenta, di tutto quel tessuto commerciale che verrebbe investito dallo tsunami di un discount aggressivo. È una sorta di polizza assicurativa collettiva, pagata a rate ad ogni scontrino, per garantire che il sistema – con le sue attività 100% sammarinesi, i suoi dipendenti, il suo indotto – non venga spazzato via come un castello di sabbia dalla marea della concorrenza globale.
Perché, alla fine, il vero arbitro di questa partita non è un Segretario di Stato, né un oscuro comma di una legge finanziaria. Il vero arbitro è il carrello della spesa, vuoto o pieno. Fino a quando la volontà (o la rassegnazione) di sostenere questo ecosistema protetto prevarrà sull’istinto di cercare il risparmio a tutti i costi oltre confine, tutto resterà com’è. Ma il giorno in cui la carovana di sammarinesi diretti verso i templi del consumo italiani diventerà un esodo biblico, allora nessuna muraglia terrà più. Il mercato, con la brutalità di una legge di natura, farà ciò che deve fare. E a quel punto, si avranno sì i prezzi più bassi. Ma non è detto che possa esistere ancora un supermarket, un negozio di abbigliamento, una ferramenta e così via, 100% sammarinesi.
Il resto è un gran chiacchiericcio, il brusio di fondo di un intero Paese che si lamenta di un sintomo ignorandone la causa. E allora diciamolo fuori dai denti, senza le ipocrisie del politicamente corretto. Cari sammarinesi, la situazione è chiara: pretendere prezzi da discount mantenendo l’attuale, protetto e garantito assetto commerciale sammarinese è come sedersi alla guida di New York attuando il programma elettorale di Zohran Mamdani… In pratica, come sedersi al volante di Citroen Ami e credere di poter vincere il Gran Premio di Monaco. Semplicemente, non è possibile.
Bisogna fare una scelta, una volta per tutte. O la capra – il sistema attuale, con i suoi posti di lavoro e le sue imprese sammarinesi – o i cavoli – il carrello della spesa che costa meno.
Tutto il resto, ogni singolo lamento, ogni promessa, ogni sdegnata invettiva sui social, non è altro che una colossale stupidaggine… Pur con millemila like conquistati!
Enrico Lazzari











