Caro Diario, quando si analizza la realtà che ci circonda, il primo passo è comprendere il mercato e lo scenario globale in cui ci troviamo a operare. Oggi l’unica certezza che emerge è l’evidente fragilità del sistema economico e la totale mancanza di un’idea di insieme, con un mercato in difficoltà, che si riflette non solo nelle grandi dinamiche internazionali, ma anche nella vita quotidiana delle nostre città.
In poco tempo Rimini si è trasformata da capitale del turismo di massa a luogo degradato. Il gestore Romagnolo, con la sua parlata grezza ma schietta ed efficace, la sua cordialità ancestrale, il suo saper fare un po’ di tutto, ricco di storia e tradizione culturale e culinaria è stato per oltre quarant’anni il motivo del successo di Rimini. Queste figure che un tempo erano la totalità della nostra offerta turistica oggi sono decisamente minoranza.
Il turista che ci sceglie molto spesso si trova davanti gestori di hotel e negozi che di Romagna non hanno nulla, a volte nemmeno di Italia. Andrebbe anche bene se il turismo moderno non fosse prima di tutto esperienziale, fatto di immersione nella cultura e nel micro mondo che si va a visitare, con le persone che vivono i luoghi. Rimini oggi è diventata un non luogo, non più un puntino sull’Adriatico di Gnassiana memoria, ma uno scarabocchio senza un senso nel vasto mondo globalizzato.
Tralasciando i Zanza, i Zizzi e i vitelloni, che sono stati per un periodo dei prodotti turistici a parte, quello che veramente è scomparso è la ragione per cui le persone venivano qui: il romagnolo. E per capirlo basta parlare con quei turisti che ancora vengono ma che certificano che tutto è cambiato, che si lamentano di come non ci siano più amici da incontrare ma solo volti sconosciuti, che nulla aggiungono alla vacanza. Ci siamo standardizzati con il resto del mondo, riempiendoci di centri commerciali prima e di negozi etnici poi, eliminando i servizi e pensando di spremere i nostri ospiti come se fossero slot machine sempre vincenti. È la globalizzazione lo so, ma non abbiamo fatto nulla per contrastarla. Anzi, ci hanno detto che dovevamo essere globali e responsabili, che il mondo era questo e bastava adeguarsi per prosperare. Abbiamo visto come è finito.
Per tenere a galla la zattera che imbarcava acqua abbiamo deciso di ricorrere al turismo organizzato dell’est Europa, con migliaia di persone trasportate a vedere il mare in una località dove si spendeva poco o niente. A queste persone non interessa la Romagna, la Piadina, la teglia di Montetiffi, San Leo, il Surcion, lo Smenaculo, Sigismondo e Isotta o qualsiasi altra cosa che possiamo offrire. A questi turisti interessa vedere un mare che non hanno mai visto, mangiare maial-tonnè e pasta al pomodoro e farsi qualche selfie per dire “sono stato in Italia anche io”.
Caro Diario siamo diventati il discount dell’Europa e forse del mondo, dove decidi di andare quando hai pochi soldi, dove non ti aspetti niente di più che un albergo scadente e una passeggiata etnica, dove l’unica certezza che hai è che ti annoierai a morte. Non siamo più neanche capaci di fare una piadina da passeggio con un po’ di grazia.
Come ripartiamo? Basta numeri finti e bugiardi, basta affittare e vendere gli hotel a stranieri di dubbia moralità che spesso sono prestanome per speculatori locali attigui alla politica, basta svendere il nostro territorio e la nostra storia. Ripartiamo dalla nostra cultura, dal nostro stile di vita, lasciando per strada quelle demenziali ed inutili statistiche sul turismo che servono solo per mascherare la realtà di una città senza idee e senza politica. Gli hotel con poche camere non sono necessariamente un male da distruggere, ma possono diventare una risorsa importante per salvaguardare l’esperienza di vacanza, così come le spiagge libere e gli affittacamere. I cambiamenti vanno gestiti e governati, ma mancano le menti pensanti e i leader che dovrebbero segnare la via.
Stefano Benaglia