A proposito di “segreto istruttorio”, di cui si parla tanto a San Marino. Nel giorno forse più nero del giornalismo, una parte di giornalismo si affanna a insinuare dubbi sui lati oscuri di Assange finalmente liberato e si domanda se chi ha raccontato i torbidi degli Stati Uniti sia un hacker liberatorio o un putiniano.
Evidentemente non tutti, nonostante gli sforzi fatti da chi in effetti ha poi quasi pagato con la vita, colgono il senso di una vicenda destinata a lasciare purtroppo il segno.
Siamo da tempo abituati anche a questo e siccome di parole sulla liberazione di Assange ne sono state dette tante, mi piace non aggiungerne altre e limitarmi a riportare quelle di Zagrebelsky che sulla Stampa ha commentato:
“Ha poco senso procedere all’elezione di parlamenti e governi, se gli elettori disinformati non conoscono i fatti rilevanti. Non si può negare la necessità del segreto imposto su certe vicende, per il tempo necessario. Ma la segretezza dei documenti, al momento della pubblicazione da Assange, aveva comunque esaurito ogni potenziale giustificazione, se non quella del segreto per il segreto. Così la persecuzione di Assange ha voluto colpirne uno per impaurirne cento; perché ciò che egli ha fatto non abbia più a ripetersi. Bersaglio è stato la professione giornalistica tutta insieme, ben oltre il caso specifico. I vari governi americani e britannici che si sono succeduti nel tempo hanno voluto avvisare i giornalisti investigativi, che lavorano forzando i segreti, di star lontani da quelli che scottano: la narrazione ufficiale e la propaganda non devono essere smentite. Ma nell’interesse della democrazia proprio quelle devono essere messe alla prova della verità”.
Cos’altro potremmo aggiungere? Andare oltre alla superficie della narrazione ufficiale dovrebbe essere la preoccupazione principe di chi svolge il mestiere del giornalista perché è ovvio che qualunque propaganda persegua dei fini e che spesso questi fini non fanno il bene dell’umanità. L’abbiamo sentita ripetere in questi giorni dal prof. Piergiorgio Odifreddi la storia del programma nucleare dei nazisti per contrastare il quale sotto la direzione di Oppenheimer, a Los Alamos, lavorarono i principali esponenti della fisica di quei tempi negli Stati Uniti. Quando i servizi segreti inglesi appurarono che non c’era alcun programma nucleare in Germania, i “lavori” andarono avanti comunque e solo uno scienziato ritenne di abbandonare il gruppo perché proseguire sarebbe stato inutilmente dannoso. Ma questa evidentemente è un’altra storia.
E un’altra storia è anche quella andata in scena sul Monte Titano. Dove una recente sentenza – nella quale si parla anche di “segreto istruttorio” – ha tracciato a propria volta un segno importante e indelebile sulla libertà di stampa, avvicinandoci sempre più a quelle garanzie, quei diritti umani, quella libertà e democrazia, che la Cedu scolpisce a chiare lettere nei suoi verdetti e decisioni.
Guardando ciò che succede nel resto del mondo, come giornalista che opera a San Marino e come cittadino, non posso che sentirmi tutelato e certamente orgoglioso.
David Oddone
(La Serenissima)