Questa sentenza diventerà definitiva nelle circostanze di cui all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrebbe essere soggetto a revisione editoriale.
Nel caso di Balsamo contro San Marino,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (terza sezione), riunita in una camera composta da:
Georgios A. Serghides, President,
Helen Keller,
Dmitry Dedov,
Branko Lubarda,
Alena Polá?ková,
Erik Wennerström, judges,
Vincent A. De Gaetano, ad hoc judge,
and Stephen Phillips, Section Registrar,
Dopo aver deliberato in privato il 10 settembre 2019,
Emette la seguente sentenza, adottata a tale data:
PROCEDURA
1. La causa ha avuto origine in due ricorsi (nn. 20319/17 e 21414/17) contro la Repubblica di San Marino depositati presso la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) di due cittadini italiani, Valentina Balsamo e Angela Balsamo (“le ricorrenti”), rispettivamente l’8 marzo 2017 e il 10 marzo 2017.
2. I ricorrenti erano rappresentati dal sig. A. Pagliano, avvocato che esercita a Napoli. Il governo sammarinese (“il governo”) era rappresentato dal loro agente, il sig. L. Daniele e dal loro co-agente, la sig.ra M. Bovi.
3. I ricorrenti hanno asserito, in particolare, che era stata loro imposta una confisca, a seguito della loro assoluzione, che ritenevano non conforme alla legge e sproporzionata.
4. Il 19 settembre 2018 il governo è stato informato delle denunce relative agli articoli 6 § 2, 7 § 1, da sole e in combinato disposto con l’articolo 13 della Convenzione, nonché ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione e il resto dei ricorsi è stato dichiarato irricevibile ai sensi dell’articolo 54 § 3 del Regolamento della Corte.
5. Il governo italiano, che era stato informato dal cancelliere del proprio diritto di intervenire nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione e articolo 44), non ha indicato che intendeva farlo.
6. Il sig. Gilberto Felici, giudice eletto nei confronti di San Marino, si ritira dalla seduta (articolo 28 del regolamento). Il Presidente della Camera di conseguenza ha nominato V.A. De Gaetano si riunirà come giudice ad hoc (articolo 26 § 4 della Convenzione e articolo 29).
I FATTI
LE CIRCOSTANZE DEL CASO
7. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1986 e nel 1985 e vivono a Brescia, in Italia.
L’indagine penale n. 477/2011
8. In una data non specificata è stata avviata un’indagine penale contro un certo B. e le sue due figlie (i richiedenti) per il riciclaggio di denaro in corso ai sensi degli articoli 50, 73 e 199 bis del codice penale. Secondo l’accusa gli accusati avevano riciclato beni che erano stati ottenuti, in Italia, da B., attraverso la commissione di reati multipli. Il valore totale delle attività presumibilmente riciclate ammontava a 2.150.000 euro (EUR).
9. Il 28 luglio 2011 il giudice istruttore (Commissario della Legge Inquirente) ha sequestrato un conto corrente, un conto titoli (dossier titoli) e il contenuto di una cassetta di sicurezza, tutti registrati a nome del primo richiedente e per i quali B. e, successivamente, il secondo richiedente ebbe un mandato. Il patrimonio complessivo ammontava a un totale di 1.920.785,50 EUR. È emerso che la prima ricorrente aveva aperto il conto il 30 dicembre 2004 all’età di diciotto anni e quel giorno aveva depositato 500.000 EUR in contanti. Il 1 ° agosto 2005 e il 2 marzo 2006 aveva depositato rispettivamente 150.000 e 400.000 euro in contanti. Il 20 aprile 2006 B. ha depositato 950.000 EUR in contanti e il 1 ° luglio 2008 il secondo richiedente ha depositato 150.000 EUR in contanti.
10. Il 10 gennaio 2012, in esecuzione di una lettera di richiesta – che era stata inviata il 6 settembre 2011 dal giudice istruttore alla Corte d’appello di Brescia – le autorità giudiziarie italiane hanno presentato documenti e informazioni pertinenti sulla presunta origine criminale del attività sopra menzionate. Traspare dai documenti contenuti nel fascicolo che includeva i documenti summenzionati era una copia di una sentenza della Corte d’appello di Brescia del 6 novembre 2008 che ha dichiarato B. colpevole di furto e che ha ricevuto beni rubati (ricettazione). Inoltre, secondo tale sentenza, i proventi derivanti da tali reati ammontano a 750.000 EUR.
11. Con decisione del 12 febbraio 2014, il giudice istruttore ha archiviato il procedimento contro B. (i documenti contenuti nel fascicolo non giustificano tale decisione) e ha incriminato il primo e il secondo richiedente per riciclaggio di denaro.
Il procedimento penale di primo grado
12. Con una sentenza n. 139 del 4 novembre 2014, depositato presso la cancelleria il 7 agosto 2015, il giudice penale di primo grado (Commissario della Legge Decidente) ha ritenuto colpevole il primo e il secondo richiedente del reato. Ha condannato il primo ricorrente a due anni e sei mesi di reclusione e il secondo ricorrente a un anno di reclusione. Sono stati entrambi multati di 5.000 euro e vietato per un anno e quattro mesi di detenere cariche pubbliche e di esercitare diritti politici. Il giudice, basandosi sull’articolo 147 § 3 del codice penale, ha confiscato le somme che erano state sequestrate (1.920.785,50 EUR). Inoltre, il giudice ha emesso, nei confronti del primo richiedente, una confisca con mezzi equivalenti di 499.000 EUR dato che, prima dell’esecuzione del sequestro, aveva prelevato quest’ultima somma dal suo conto bancario.
13. Il giudice penale di primo grado ha accertato che i ricorrenti avevano riciclato beni che erano stati ottenuti da B., in Italia, attraverso la commissione di reati multipli. Per quanto riguarda l’origine criminale dei beni, il giudice ha dichiarato che la precedente giurisprudenza nazionale aveva stabilito che per trovare qualcuno colpevole di riciclaggio di denaro non era necessario avere una condanna precedente per il reato sottostante, predicato o conoscerne la autore. È bastato invece disporre di prove ragionevoli (provare logiche) dell’origine criminale del denaro in questione. L’origine criminale del denaro era un prerequisito oggettivo per essere accertato autonomamente dal giudice nel caso del riciclaggio di denaro. Non era quindi importante accertare un’offesa predicata specifica se una pluralità di elementi mostrava l’origine illecita del denaro. Nel caso in esame, l’origine criminale dei beni era stata dimostrata dalla citata sentenza penale italiana contro B. insieme ad altri elementi pertinenti. In particolare, il giudice ha citato una parte della sentenza italiana che descriveva la carriera criminale di B. e le sue precedenti condanne per, tra l’altro, combattimenti, lesioni personali, trasporto di armi e, dopo il 1975, gestione e ricezione di beni rubati, istanze multiple di furto, possesso di beni ingiustificati e spaccio di droga.
14. Il giudice ha riconosciuto che i proventi (750.000 EUR) del reato presupposto – di cui B. era stato dichiarato colpevole in Italia dalla sentenza sopra citata – erano molto inferiori alla somma oggetto del riciclaggio (2.150.000 EUR). Questo fatto, tuttavia, non ha potuto portare ad escludere l’origine criminale di tutta la somma in questione poiché, tra l’altro, (i) il casellario giudiziario di B. dal 1975 comprendeva reati multipli ciascuno dei quali era in grado di produrre un utile criminale rilevante; (ii) esisteva una sproporzione tra il reddito legittimo dei richiedenti (e la loro famiglia) e i beni in loro possesso; (iii) i richiedenti avevano tentato di dimostrare l’origine lecita dei beni (ad esempio dalla loro attività familiare e dalla vendita di beni immobili) ma la loro spiegazione non si era basata su alcuna prova e c’erano state alcune contraddizioni tra le dichiarazioni fatte da ciascuno il consulente legale del richiedente a tale riguardo; (iv) era irragionevole che i richiedenti avessero deciso di depositare i soldi in una banca straniera lontana dal centro di interesse delle attività della loro famiglia e questo era un’ulteriore indicazione del loro tentativo di nascondere l’origine criminale delle attività.
15. La corte era anche convinta che nonostante la loro giovane età entrambi i richiedenti erano ben consapevoli dell’origine del denaro e degli obiettivi alla base dei trasferimenti di denaro a San Marino, in particolare dato che erano ben consapevoli dei problemi del padre con il sistema giudiziario .
Il procedimento di ricorso penale
16. Con sentenza del 10 ottobre 2016, pubblicata il 12 ottobre 2016, il giudice dei ricorsi penali (Giudice d’Appello Penale) ha assolto entrambi i richiedenti per mancanza di prove in grado di dimostrare il mens rea (elemento soggettivo di un crimine). In particolare, non era stato accertato oltre ogni ragionevole dubbio che i ricorrenti fossero stati a conoscenza dell’origine criminale dei beni alla luce, tra l’altro, della loro giovane età. Tuttavia, il tribunale ha osservato che la somma depositata sul conto bancario aveva avuto origine criminale in assenza di spiegazioni sull’origine del denaro (che ha portato all’acquisto di proprietà, la cui vendita ha comportato le somme in questione ). In effetti, il fatto che all’epoca non esistessero controlli fiscali rilevanti non era sufficiente per provare l’origine lecita dei fondi. Inoltre, il trasferimento di tali fondi nelle banche di San Marino ha dimostrato il tentativo di rendere tali fondi non rintracciabili proprio per nascondere la loro origine iniziale. Il giudice ha confermato la confisca delle somme che erano state sequestrate.
Il procedimento dinanzi al giudice per vie di ricorso straordinarie
17. Quando i ricorrenti hanno presentato il loro ricorso presso la Corte (nel marzo 2017) non hanno informato la Corte del procedimento che avevano presentato due mesi prima dinanzi al giudice per i ricorsi straordinari (competenza penale). Né hanno informato la Corte in merito alla questione, e successivamente sulla decisione pertinente, in qualsiasi altro momento successivo. Solo il governo, nelle loro osservazioni del 9 gennaio 2019, a seguito della comunicazione delle denunce, ha portato alla Corte i seguenti fatti.
18. Il 5 gennaio 2017 i ricorrenti hanno presentato domanda di revisione della sentenza del 12 ottobre 2016 dinanzi al giudice per vie di ricorso straordinarie. Si lamentarono in particolare che la sentenza del 12 ottobre 2016 aveva violato i loro diritti ai sensi dell’articolo 6 § 2, e 7 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione. Hanno ritenuto che ai sensi del diritto interno non esistesse un rimedio diverso da una richiesta di revisione di una sentenza, rilevando che l’incapacità del giudice di ricorsi straordinari di prendere conoscenza delle loro denunce potrebbe rendere lo Stato responsabile di una violazione dell’articolo 13 del la convenzione.
19. Con un decreto del 16 gennaio 2017 il giudice per i ricorsi straordinari ha ritenuto di essere competente a decidere il caso ai sensi dell’articolo 200, paragrafo 1, del codice di procedura penale e ha ritenuto che la richiesta di revisione non potesse essere dichiarata irricevibile ai sensi dell’articolo 201 (5) dello stesso codice.
20. Nelle sue memorie del 20 marzo 2017, il procuratore generale ha chiesto al giudice ricorsi straordinari di dichiarare la richiesta irricevibile, in quanto l’articolo 200 del codice prevedeva un elenco esauriente di quattro situazioni in relazione alle quali poteva essere presentata una richiesta di revisione. Nessuno di questi motivi si riferiva a presunte violazioni dei diritti della Convenzione e quindi non poteva essere applicato al caso di specie.
21. Nelle loro osservazioni scritte del maggio 2017 i ricorrenti hanno informato il giudice di ricorsi straordinari di aver presentato un ricorso alla Corte lamentando le stesse questioni, poiché erano tenuti a rispettare il termine di sei mesi per presentare tale domanda. Allo stesso tempo, hanno chiesto al giudice ricorsi straordinari di sospendere la sua decisione sulla loro richiesta in attesa del procedimento dinanzi alla Corte. Informarono inoltre il giudice per i rimedi straordinari che se la loro richiesta di sospensione del procedimento non fosse stata accolta, avrebbero ritirato la loro domanda dinanzi a lui.
22. Con una sentenza del 23 maggio 2017 il giudice per i ricorsi straordinari ha respinto la loro richiesta di sospensione del procedimento, nonché la loro richiesta di ritiro del procedimento e, tenuto conto del merito (visto a livello globale), ha respinto la loro richiesta di revisione .
23. Ha osservato che i richiedenti non hanno avanzato alcuna motivazione per contestare la propria competenza a decidere il caso e che ha dovuto tenere conto dei rischi che lo Stato potrebbe incorrere in relazione, tra l’altro, all’articolo 13 della Convenzione. Basandosi sulla sentenza n. 6 della giurisdizione costituzionale (vale a dire, il Collegio Garante della Costituzionalita` delle Norme) del 1 ° agosto 2007, il giudice ha ritenuto di avere la competenza per esaminare i reclami della Convenzione (vedere paragrafo 34 sotto) e che ciò era conforme con l’obbligo dello Stato ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione.
24. Ha inoltre ritenuto che le censure sollevate dai ricorrenti fossero discutibili e pertanto fosse applicabile l’articolo 13. Nel merito non ha riscontrato alcuna violazione delle disposizioni invocate in considerazione del fatto che il giudice di appello aveva fatto una corretta applicazione della legge alla luce dei pertinenti strumenti internazionali dato che le somme confiscate avevano origini illecite – i fatti erano stati stabiliti in procedimento equo, in cui i diritti della difesa dei ricorrenti erano stati rispettati. Non sono state tratte conclusioni arbitrarie né vi è stata alcuna questione di certezza del diritto. La misura era stata proporzionata e prevedibile.
25. In particolare, il giudice per i ricorsi straordinari ha formulato le seguenti considerazioni:
26. Il Judge of Criminal Appeals aveva correttamente applicato la confisca nella misura in cui non avrebbe potuto permettere che i fondi – la cui origine illecita era stata provata – fossero ricircolati dai richiedenti che a quel punto erano venuti a conoscenza dell’origine illecita del fondi.
27. Nel caso di specie, sebbene applicato al termine del procedimento penale, la confisca non aveva una funzione punitiva, ma solo una prevenzione volta a impedire l’uso illecito della proprietà in questione. Misure analoghe applicate in Italia e in Germania, paesi che hanno “privilegiato” tali misure preventive per lottare contro l’uso di fondi illeciti – misure che hanno resistito alle sfide dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella fattispecie, l’origine illecita dei fondi è stata accertata nell’ambito di un processo equo.
28. Per quanto riguarda la liceità della misura, il giudice per i ricorsi straordinari ha ritenuto che, mentre poteva sembrare che il giudice dei ricorsi penali avesse applicato una combinazione (assimilazione) di entrambe le disposizioni, la dottrina giuridica (compresa la giurisprudenza italiana relativa a disposizioni analoghe in italiano legge) aveva sottolineato l’indipendenza concettuale della cosiddetta confisca obbligatoria di cose palesemente illecite (aventi natura preventiva) da altre forme di confisca previste dalla stessa legge o da altre disposizioni legali (aventi carattere punitivo (repressivo) ). Ha inoltre ritenuto che la confisca, indipendentemente da qualsiasi indagine riguardante il possessore, la sua responsabilità penale o pericolosità, costituisse una mera conseguenza dello status (proprietà giuridica) della proprietà e quindi fosse priva di qualsiasi natura punitiva. Come sostenuto dal procuratore generale, il “crimine non può pagare” – in tutti gli Stati europei il denaro riciclato non poteva circolare. Alla luce della legge applicabile e delle norme internazionali, il giudice dei ricorsi penali aveva correttamente applicato la confisca di tali somme di origine illecita e la misura era stata lecita e proporzionata.
29. Il giudice dei rimedi straordinari ha inoltre ritenuto che, anche supponendo che l’articolo 147, paragrafo 2, del codice penale fosse stato ampiamente interpretato, tale interpretazione era stata prevedibile alla luce delle norme nazionali e internazionali, comprese le raccomandazioni di MONEYVAL (il Comitato di esperti sulla valutazione delle misure antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo – un organo di controllo del Consiglio d’Europa). Basandosi sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice per i ricorsi straordinari ha ritenuto che, contrariamente all’argomento sollevato dai ricorrenti, l’interpretazione giudiziaria delle leggi non andava contro il principio della certezza del diritto quando era giustificata dalla necessità di adeguare leggi alle realtà esistenti, esigenze socio-economiche o obblighi internazionali. Dato il contesto, la misura era stata necessaria in una società democratica. La pervasività criminale della condotta in questione e l’effetto moltiplicatore sulle attività criminali, il loro impatto negativo sulla regolarità delle attività economiche, gli effetti destabilizzanti sul mercato economico e l’impatto negativo sull’immagine del paese e sulla sua credibilità internazionale erano tutti convincenti e ragioni imperative che giustificano la misura.
LEGGE E PRATICA NAZIONALI RILEVANTI
Il codice penale
30. Articolo 199 bis del codice penale, come modificato dal capitolo 2, articolo 7 della legge n. 28 del 26 febbraio 2004 e dall’articolo 77, paragrafo 2, della legge n. 92 del 17 giugno 2008, leggi, per quanto pertinente, come segue:
Articolo 199 bis (riciclaggio di denaro)
“(1) Una persona è colpevole di riciclaggio di denaro, laddove, tranne nei casi di aiuto e favoreggiamento, nasconde, sostituisce, trasferisce o coopera con altri per farlo, denaro che sa essere stato ottenuto a causa di reati non derivante da negligenza o contravvenzioni (misfatto), con l’obiettivo di nasconderne le origini;
(2) O chiunque utilizzi, o coopera o intervenga con l’intenzione di utilizzare, nell’ambito delle attività economiche o finanziarie, denaro che conosce sia stato ottenuto a seguito di reati non derivanti da negligenza o contravvenzioni (misfatto).
(3) Se il crimine all’origine del denaro riciclato è stato commesso in un paese straniero, tale crimine deve anche costituire un reato perseguibile a San Marino (deve essere penalmente perseguibile e procedibile anche per l’ordinamento sammarinese).
…
(5) Chiunque commette i reati previsti dal presente articolo è punito con la reclusione del quarto grado, con un’ammenda giornaliera di secondo grado e con un divieto di terzo grado di detenere cariche pubbliche ed esercitare diritti politici
(6) Le punizioni possono essere ridotte di un grado a causa della quantità di denaro o delle attività e del tipo di operazioni che sono state effettuate (indole delle operazioni effettuate) …
(7) Il giudice applica la penalità prevista per il reato predicato se è meno grave. ”
31. Il titolo VI del codice penale, che ha il titolo “Obblighi civili e altri effetti derivanti da reati”, comprende l’articolo 147 del codice penale, che, come modificato dall’articolo 42 del decreto n. 181 dell’11 novembre 2010, e come applicabile al momento dei fatti della presente causa, leggi, per quanto pertinente, come segue:
Articolo 147 (confisca)
“(1) In una sentenza di condanna, il giudice ordina (il giudice ordina) la confisca degli oggetti appartenenti alla persona condannata che sono stati utilizzati o che dovevano essere utilizzati per commettere il crimine, nonché la confisca del prezzo, prodotto e profitto del crimine.
(2) Indipendentemente dalla convinzione, ne consegue la confisca in caso di fabbricazione, uso, possesso, trasferimento o commercio di articoli, qualora tale atto costituisca un reato, anche se gli articoli non appartengono all’autore dell’atto in questione ( agente).
(3) In una sentenza di condanna, il giudice deve sempre ordinare (e ‘sempre obbligatoria) la confisca di oggetti che sono stati utilizzati o che erano destinati a essere utilizzati per commettere i reati ex articoli 167, 168, 168 bis, 169, 177 bis, 177 ter, 194, 195, 195 bis, 195 ter, 196, 199, 199 bis, 204 (3-1), 204 bis, 207, 212, 305 bis, 337 bis, 337 ter, 371, 372, 373 , 374, 374 ter (1), 388, 389 o reati connessi al terrorismo o reati con lo scopo di sovvertire l’ordine costituzionale o il crimine ex art. 1 della legge n. 139 del 26 novembre 1997, oltre a disporre la confisca del prezzo, del prodotto e del profitto del reato. Se la confisca non è possibile, il giudice deve ordinare (impone l’obbligo di) il pagamento di una somma di denaro equivalente al valore degli articoli di cui sopra. ”
Il codice di procedura penale
32. L’articolo 200 del codice di procedura penale, relativo ai procedimenti di revisione, nella parte in cui si legge come segue:
“È consentita una revisione di una sentenza che dichiari colpevolezza o assoluzione, con l’applicazione di misure di sicurezza o di confisca, … che sono diventati res judicata,
(a) Se emergono nuove prove che, da sole o in combinazione con le prove già fornite, dimostrano che il richiedente deve essere assolto …;
(b) se la constatazione si basa su una menzogna o altro crimine;
(c) Se i fatti accertati ai fini di tale accertamento non sono conciliabili con i fatti accertati in un’altra sentenza penale che è definitiva.
(d) Se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha constatato che il procedimento penale violava la Convenzione e le conseguenti gravi conseguenze negative possono essere sanate solo mediante la revisione della sentenza.
… [riguardo a chi può presentare tale richiesta] ”
33. Ai sensi dell’articolo 202 del codice di procedura penale, una domanda di revisione deve essere presentata entro un anno dai fatti pertinenti che portano alle ragioni menzionate nei rispettivi sotto-articoli dell’articolo 200.
C. Giurisprudenza pertinente
34. Con un decreto del 3 marzo 2007 il giudice per i ricorsi straordinari ha chiesto un riferimento costituzionale ai sensi dell’articolo 200, paragrafo 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui sembrava non includere, nell’ambito delle sue competenze, la situazione in cui una norma, che era determinante nel decidere la sostanza e la procedura di un caso, era stata giudicata incostituzionale solo dopo che il caso era stato finalmente determinato.
35. Nella sentenza n. 6 della giurisdizione costituzionale (vale a dire, il Collegio Garante della Costituzionalita` delle Norme) del 1 ° agosto 2007, quest’ultimo ha dichiarato che “nel sistema giudiziario sammarinese l’unico mezzo per correggere eventuali possibili ingiustizie sostanziali relative a una sentenza definitiva, è stata per mezzo di una sentenza del giudice per ricorsi straordinari, attraverso l’istituzione di procedimenti di revisione applicabili nella sfera criminale ”. Ha osservato, tuttavia, che l’attuale formulazione dell’articolo 200 del codice di procedura penale, non ha consentito la revisione di una sentenza basata su una norma che è stata successivamente ritenuta incostituzionale (e che potrebbe sollevare questioni ai sensi degli articoli 5 e 7 della Convenzione). Né l’articolo 200 dello stesso codice potrebbe essere interpretato in modo esteso o per analogia, dato che prevedeva un elenco chiaro ed esauriente di quando poteva essere presentata una richiesta di revisione. Ne consegue che l’articolo 200 del codice di procedura penale era incostituzionale, in parte, in quanto non prevedeva la possibilità di chiedere una revisione nei casi in cui era stata emessa una sentenza definitiva in ambito penale sulla base di una norma che è stato successivamente ritenuto incostituzionale (e solo per i casi in cui la pena non era già stata scontata – poiché in tali casi era legittimo non fornire un rimedio nell’interesse della certezza del diritto).
36. Con sentenza n. 6 del 13 agosto 2018, in una causa relativa a questioni analoghe a quelle che erano in discussione nel caso di M.N. e a. contro San Marino (n. 28005/12, 7 luglio 2015) il giudice per i ricorsi straordinari ha ribadito la sua competenza a valutare le questioni relative ai diritti umani nel contesto di una richiesta di revisione ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale, in quanto egli aveva proceduto nei casi precedenti dal 2016, in particolare nelle sentenze del 10 luglio 2018 nel procedimento di revisione n. 3/2018, 26 febbraio 2018 nel procedimento di revisione n. 2/2017, 10-23 maggio 2017 nel procedimento di revisione n. 1/2017 e 13 agosto 2016 nel procedimento di revisione n. 2/2016. Tale interpretazione si basava sulla sentenza n. 6 della giurisdizione costituzionale (cfr. Paragrafo precedente), che a suo avviso prevedeva che i procedimenti di revisione fossero l’unico rimedio nei casi in cui si fosse verificata un’ingiustizia sostanziale relativa a una sentenza definitiva che era in contrasto con i diritti umani fondamentali ”. Riteneva che l’effettivo ricorso richiesto dalla Convenzione fosse garantito a San Marino da procedimenti di revisione dato che le giurisdizioni costituzionali avevano affidato al giudice per i rimedi straordinari la competenza di valutare una situazione in cui una sentenza definitiva era in conflitto con i diritti umani fondamentali, e esaminare il reclamo laddove si basava su un reclamo discutibile e, l’articolo 13 attribuiva al giudice per i rimedi straordinari il potere di assegnare un risarcimento adeguato per le violazioni confermate.
37. In tal modo il giudice per i ricorsi straordinari ha respinto l’obiezione sollevata dal procuratore generale in base alla quale il giudice per i rimedi straordinari non aveva tale competenza dato che tale situazione non era elencata nell’elenco esaustivo delle situazioni di cui all’articolo 200 del il codice di procedura penale.
III. STRUMENTI INTERNAZIONALI RILEVANTI
38. Il 12 ottobre 2002 la Repubblica di San Marino ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato (Strasburgo 1990 – STE n ° 141). La Convenzione mirava a facilitare la cooperazione internazionale e l’assistenza reciproca nelle indagini sulla criminalità e nel rintracciare, sequestrare e confiscare i proventi della stessa. Le parti si impegnano in particolare a criminalizzare il riciclaggio dei proventi di reato e a confiscare strumenti e proventi (o proprietà il cui valore corrisponde a tali proventi).
39. Il 27 luglio 2010 la Repubblica di San Marino ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo (Varsavia 2005 – STCE n. 198). La presente convenzione riguarda sia la prevenzione che il controllo del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo. Gli Stati parti della Convenzione sono invitati ad adottare misure legislative e di altro tipo al fine di assicurare che siano in grado di cercare, rintracciare, identificare, congelare, sequestrare e confiscare proprietà, di origine lecita o illecita, utilizzate o assegnate per essere utilizzate per finanziamento del terrorismo; e per fornire cooperazione e assistenza investigativa reciproca.
40. Secondo questi strumenti confisca significa “una sanzione o una misura, ordinata da un tribunale a seguito di procedimenti in relazione a un reato o reati che comportano la privazione finale della proprietà”. In particolare in relazione alle misure di confisca, per quanto pertinente, quest’ultimo prevede che:
Articolo 3
“1. Ciascuna Parte adotta le misure legislative e di altro tipo necessarie per consentirle di confiscare strumenti e proventi o proprietà il cui valore corrisponde a tali proventi e beni riciclati.
2. A condizione che il paragrafo 1 del presente articolo si applichi al riciclaggio di denaro e alle categorie di reati nell’appendice della Convenzione, ciascuna Parte può, al momento della firma o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, entro una dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, dichiara che si applica il paragrafo 1 di questo articolo
a) solo nella misura in cui il reato è punibile con la privazione della libertà o un ordine di detenzione per un massimo di più di un anno. Tuttavia, ciascuna Parte può fare una dichiarazione su questa disposizione in merito alla confisca dei proventi da reati fiscali al solo scopo di poter confiscare tali proventi, sia a livello nazionale che attraverso la cooperazione internazionale, ai sensi della legislazione nazionale e internazionale sul recupero del debito fiscale ; e / o
b) solo a un elenco di reati specifici.
3. Le parti possono prevedere la confisca obbligatoria per i reati soggetti al regime di confisca. Le parti possono in particolare includere in questa disposizione i reati di riciclaggio di denaro, traffico di stupefacenti, traffico di esseri umani e qualsiasi altro reato grave.
4. Ciascuna Parte adotta le misure legislative o di altra natura che possono essere necessarie per richiedere che, in relazione a un reato grave o ai reati definiti dalla legislazione nazionale, un trasgressore dimostri l’origine di presunti proventi o altri beni suscettibili di confisca nella misura in cui che tale requisito è coerente con i principi della sua legislazione nazionale “.
Articolo 5
“Ciascuna parte adotta le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le misure di congelamento, sequestro e confisca comprendano anche:
a) la proprietà in cui i proventi sono stati trasformati o convertiti;
b) beni acquisiti da fonti legittime, se i proventi sono stati mescolati, in tutto o in parte, con tali beni, fino al valore stimato dei proventi mescolati;
c) reddito o altri benefici derivati ??da proventi, da proprietà in cui i proventi da reato sono stati trasformati o convertiti o da proprietà con cui i proventi da reato sono stati mescolati, fino al valore valutato dei proventi mescolati, nello stesso modo e a nella stessa misura del ricavato “.
LA LEGGE
41. Tenuto conto dell’argomento analogo dei ricorsi, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.
OBIEZIONI PRELIMINARI
Abuso di petizione
42. L’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione prevede:
“La Corte dichiara inammissibile ogni singola domanda presentata ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che:
(a) l’applicazione è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente mal-fondata, o un abuso del diritto di applicazione individuale; …”
Le osservazioni delle parti
43. Il Governo presentò che nel loro ricorso alla Corte i richiedenti avevano omesso di menzionare la loro domanda al giudice per i rimedi straordinari, che era pendente in quel momento, e in cui presentarono le stesse denunce portate alla Corte sotto l’Articolo 6 § 2 e 7 della Convenzione. Inoltre, nella loro domanda alla Corte, si sono lamentati in modo specifico di non avere alcun rimedio ai fini dell’articolo 13, nascondendo alla Corte che avevano perseguito proprio tale rimedio allo stesso tempo. Hanno inoltre omesso di informare la Corte quando era stata emessa una sentenza nel loro caso. Il Governo ha osservato che a seguito degli sviluppi della giurisprudenza relativa al modo e alle condizioni per richiedere una revisione delle sentenze penali ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale (vedere paragrafi 35 e 36 sopra) – in particolare la sentenza della Costituzionale Corte del 1 ° agosto 2007 il cui principio è stato interpretato ed esteso dal giudice per rimedi straordinari per renderlo responsabile delle violazioni dei diritti umani – che Avenue era diventata un rimedio adeguato ed efficace per i reclami della Convenzione. Pertanto, il Governo considerò che i richiedenti, che erano a conoscenza degli sviluppi interni nella misura in cui tentarono tali procedimenti, avevano deliberatamente presentato alla Corte informazioni incomplete e fuorvianti. Il Governo chiese alla Corte di constatare che c’era stato un abuso della petizione e di conseguenza dichiarare il ricorso irricevibile.
44. I ricorrenti hanno ritenuto che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU fino ad oggi a San Marino, i procedimenti dinanzi al giudice per ricorsi straordinari costituivano un rimedio straordinario che non doveva essere esaurito. Di conseguenza, non vi era motivo di informare la Corte su quell’ulteriore rimedio che avevano perseguito. A loro avviso, il rimedio non era necessario e non poteva cambiare il loro stato di vittima poiché non poteva rimediare alla loro situazione. Sostennero che non avevano avuto l’intenzione fraudolenta di indurre in errore la Corte e che la loro omissione non si occupava della questione principale del caso. Distinguevano la loro situazione da quella in cui i richiedenti avevano omesso di informare la Corte di essere riusciti a perseguire un simile rimedio, vale a dire una situazione in cui a livello nazionale le autorità avrebbero fornito un risarcimento per le infrazioni, incidendo così sul loro status di vittima.
La valutazione della Corte
45. La Corte reitera che sotto l’Articolo 35 § 3 (a) una domanda può essere respinta come un abuso del diritto di domanda individuale se, tra le altre ragioni, era consapevolmente basato su fatti non veritieri (vedi Akdivar e a. Contro Turchia, 16 settembre 1996, §§ 53-54, Rapporti di sentenze e decisioni 1996 ? IV; Varbanov c. Bulgaria, n. 31365/96, § 36, CEDU 2000 ? X; Rehak c. Repubblica ceca (dec.), No 67208/01, 18 maggio 2004; Popov contro Moldavia (n. 1), n. 74153/01, § 48, 18 gennaio 2005; Kerechashvili contro Georgia (dec.), N. 5667/02, CEDU 2006? V; Miro?ubovs e a. Contro Lettonia, n. 798/05, § 63, 15 settembre 2009; e Centro Europa 7 Srl e Di Stefano v. Italia [GC], n. 38433/09, § 97, CEDU 2012). La presentazione di informazioni incomplete e quindi fuorvianti può anche costituire un abuso del diritto di applicazione, soprattutto se le informazioni riguardano il nocciolo della causa e non è stata fornita alcuna spiegazione sufficiente per la mancata divulgazione di tali informazioni (v. Sentenza Hüttner v. Germania (dec.), N. 23130/04, 9 giugno 2006; Predescu c. Romania, n. 21447/03, §§ 25-26, 2 dicembre 2008; e Kowal c. Polonia (dec.), N. 2912 / 11, 18 settembre 2012). Lo stesso vale se si sono verificati nuovi importanti sviluppi nel corso del procedimento dinanzi alla Corte e laddove, nonostante sia stato espressamente richiesto dall’articolo 47 § 7 (ex articolo 47 § 6) del Regolamento della Corte, il richiedente non ha rivelato che informazioni alla Corte, impedendole in tal modo di pronunciarsi sul caso in piena conoscenza dei fatti (cfr. Centro Europa 7 Srl e Di Stefano, citati sopra, e Miro?ubovs e a., citati sopra). Tuttavia, anche in tali casi, l’intenzione del richiedente di indurre in errore la Corte deve essere sempre accertata con sufficiente certezza (vedi Al-Nashif c. Bulgaria, n. 50963/99, § 89, 20 giugno 2002; Melnik c. Ucraina, n. 72286/01, §§ 58-60, 28 marzo 2006; e Gross v. Switzerland [GC], n. 67810/10, § 36, CEDU 2014).
46. ??Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte nota che, nella loro domanda alla Corte depositata nel marzo 2017, i ricorrenti hanno sostenuto, tra l’altro, di aver subito una violazione dell’articolo 13 in quanto non avevano un ricorso effettivo a livello nazionale livello per i loro reclami della Convenzione e ha osservato in particolare che i procedimenti ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale non potevano essere considerati efficaci sia perché si trattava di un rimedio straordinario sia perché non si applicavano al loro caso (che non era incluso nell’elenco esaustivo di circostanze previste da tale articolo). Nel fare ciò, tuttavia, non hanno informato la Corte di aver in ogni caso tentato i procedimenti pendenti al momento in cui hanno presentato la domanda alla Corte. Hanno anche omesso di informare la Corte quando è stata emessa una decisione in merito.
47. In relazione alle affermazioni delle ricorrenti in merito alla natura straordinaria del rimedio che lo ha reso irrilevante per la loro causa, la Corte nota che è vero che, in precedenti cause contro San Marino, ha proceduto a tale procedimento di revisione ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale equivaleva a un rimedio straordinario che non deve essere esaurito (si veda, ad esempio, la decisione di ammissibilità in Ercolani c. San Marino ((dec.), n. 35430/97, 28 maggio 2002). potrebbe essere diverso ora alla luce del fatto che il giudice per i ricorsi straordinari ha stabilito la sua competenza per esaminare le questioni relative ai diritti umani come accaduto nel caso dei ricorrenti e come sembra essere il caso dal 2016 (cfr. paragrafo 36 sopra). , sembrerebbe essere alla luce di tali sviluppi che i ricorrenti hanno tentato il rimedio. Tuttavia, la Corte non ha ancora avuto l’opportunità di esaminare, sulla base delle osservazioni pertinenti delle parti, se il procedimento di revisione devono ancora essere considerati un rimedio straordinario o se tali procedimenti sono un rimedio ai fini degli articoli 13 e 35 § 1 della Convenzione in una data situazione e in tali circostanze non vi è dubbio che i richiedenti avrebbero dovuto informare la Corte sul rimedio che hanno perseguito.
48. Tuttavia, e soprattutto, la Corte nota che, come sostenuto dalle ricorrenti, l’esito di tali procedimenti non ha avuto alcun impatto sul loro status di vittima (v., A contrario, Kerechashvili. Sopra citato). Inoltre, nelle circostanze del caso di specie, i richiedenti non avevano nulla da guadagnare nascondendo tali informazioni. La Corte, quindi, ritiene che l’omissione potrebbe essere dovuta a inavvertenza o inesperienza e quindi l’intenzione delle ricorrenti di indurre in errore la Corte non può essere accertata con sufficiente certezza.
49. Di conseguenza, l’eccezione del governo è respinta.
Esaurimento dei rimedi domestici
Argomenti delle parti “
50. Per quanto riguarda i loro reclami ai sensi degli articoli 6 § 2 e 7, il Governo presentò che al momento della presentazione della domanda, i richiedenti non avevano ancora esaurito i ricorsi interni, poiché i procedimenti che avevano avviato dinanzi al giudice per i rimedi straordinari erano ancora in sospeso al momento.
51. I richiedenti presentarono che il giudice per i rimedi straordinari era una giurisdizione straordinaria sia sotto il diritto interno che secondo la giurisprudenza della Corte. In particolare hanno osservato che la sua natura straordinaria era evidente dato che l’articolo 2 della legge costituzionale n. 144 del 2003 non elencava un simile rimedio con il rimedio ordinario e stabiliva con precisione che il giudice per i rimedi straordinari ha una giurisdizione straordinaria. La sua straordinaria natura è stata ulteriormente confermata dal fatto che, fino al momento delle osservazioni, il governo sammarinese non aveva mai invocato il non esaurimento dei ricorsi interni dinanzi alla Corte per mancata presentazione di una richiesta di revisione (ad eccezione dei casi in cui questa giurisdizione ha dovuto decidere in merito a una richiesta di revoca di un giudice in corso di procedura, in quale contesto è stato considerato come un ricorso ordinario), né la Corte ha mai trovato una domanda irricevibile per tale motivo.
La valutazione della Corte
52. La Corte reitera che l’obbligo per il richiedente di esaurire le vie di ricorso nazionali è normalmente determinato con riferimento alla data in cui la domanda fu presentata alla Corte (vedi Baumann c. Francia, n. 33592/96, § 47, CEDU 2001 ?V (estratti)). Tuttavia, la Corte accetta anche che l’ultima fase dell’esaurimento delle vie di ricorso interne possa essere raggiunta poco dopo la presentazione della domanda, ma prima che la Corte determini la questione della ricevibilità (vedi, ad esempio, Zalyan e a. Contro Armenia, nn. 36894/04 e 3521/07, § 238, 17 marzo 2016, con ulteriori riferimenti).
53. La Corte nota che – fatto salvo se i procedimenti dinanzi al giudice per i ricorsi straordinari presentati ai sensi dell’articolo 200 del codice di procedura penale devono ancora essere considerati un rimedio straordinario e se sono un rimedio conforme all’articolo 13 – quelli il procedimento si è concluso pochi mesi dopo l’introduzione del ricorso e dinanzi alla Corte era stata accertata l’ammissibilità dei relativi reclami. In tali circostanze, non vi sono motivi per respingere il reclamo dei richiedenti per inosservanza dei requisiti di cui all’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, ad esempio, Mili? e Nikezi? v. Montenegro, nn. 54999/10 e 10609 / 11, § 74, 28 aprile 2015, e Zalyan e a., Sopra citati, §§ 238-239).
54. Di conseguenza, l’eccezione del governo è respinta.
VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE
55. I ricorrenti si lamentarono di essere stati puniti nonostante fossero stati assolti. Hanno invocato l’articolo 7 della Convenzione che recita come segue:
“1. Nessuno può essere ritenuto colpevole di qualsiasi reato a causa di qualsiasi atto o omissione che non costituiva un reato ai sensi del diritto nazionale o internazionale al momento in cui è stato commesso. Né sarà imposta una sanzione più pesante di quella applicabile al momento in cui è stato commesso il reato.
2. Il presente articolo non pregiudica il processo e la punizione di qualsiasi persona per qualsiasi atto o omissione che, al momento in cui è stato commesso, era criminale secondo i principi generali di legge riconosciuti dalle nazioni civili. ”
Le osservazioni delle parti
56. I ricorrenti si lamentarono di essere stati sottoposti a una confisca nonostante fossero stati assolti. Hanno ritenuto che la confisca costituisse una sanzione di natura punitiva e grave nelle sue conseguenze. Era stato espulso durante i procedimenti penali ed era quindi chiaramente punitivo. Dal loro punto di vista, la sua natura criminale era evidente anche dal fatto che era legata a una condanna penale, sebbene non quella dei richiedenti, ma del padre. Inoltre, la misura era fondata sull’articolo 147, paragrafo 2, del codice penale che consentiva tali misure anche in caso di assoluzione. Tuttavia, secondo le ricorrenti tale disposizione era intesa a prevedere la confisca di beni destinati a commettere reati o che costituivano un crimine o che erano pericolosi, e quindi la confisca di somme di denaro non avrebbe dovuto rientrare nella sua competenza. A loro avviso, basandosi su tale disposizione, il giudice stava estendendo per analogia la competenza del tribunale nazionale, cosa impossibile nella sfera del diritto penale. A loro avviso, aveva applicato qualcosa tra l’articolo 147, paragrafo 1, che era una misura punitiva e l’articolo 147, paragrafo 2, che era una misura preventiva nonostante entrambe le disposizioni non fossero applicabili nel loro caso. Pertanto, sebbene la misura non fosse stata prevista dalla legge, era stata chiaramente di natura punitiva.
57. Il Governo presentò che la confisca ai sensi dell’Articolo 147 (2) del Codice Penale non era una sanzione e non era di natura punitiva. Hanno fatto affidamento sui risultati del giudice per i rimedi straordinari (vedere paragrafi 28 sopra). Facendo riferimento ai criteri della Corte per dimostrare la natura non penale della misura, il Governo presentò che i) la confisca non era nata da una sentenza di colpa; ii) ai sensi del diritto interno, è stato classificato come un obbligo civile e non una punizione, come risulta dal suo posizionamento nel Titolo VI del codice penale intitolato “Obblighi civili e altri effetti derivanti da reati” (paragrafo 31 sopra); iii) la natura e lo scopo della misura erano preventivi, in particolare per impedire l’accumulo di proprietà illecite esclusivamente sulla base della sua origine illecita, come stabilito dalle disposizioni nazionali e dalle convenzioni internazionali; iv) il Governo ha anche ritenuto che la confisca di somme di denaro indiscutibilmente costituite da procedimenti per numerosi reati gravi non potesse essere definita come una conseguenza “grave”, ma semplicemente una misura adeguata per contrastare e reprimere l’accumulo di beni derivanti da reati gravi , come il traffico di droga e armi, che sono obiettivi condivisi nella comunità internazionale; v) infine, tali somme erano state confiscate solo dopo un’accurata e attenta valutazione all’interno della quale, a fronte di molteplici e serie indicazioni dell’originale illegale e criminale dei fondi, i richiedenti non avevano presentato prove sufficienti della loro legittima origine.
La valutazione della Corte
Principi generali
58. Ai fini della Convenzione non può esserci alcuna “condanna” a meno che non sia stato stabilito in conformità con la legge che c’è stato un reato – un reato o, se del caso, un reato disciplinare. Allo stesso modo, non può esserci alcuna penalità se non è stata stabilita la responsabilità personale (vedi Varvara v. Italia, n. 17475/09, § 69, 29 ottobre 2013 e GIEM SRL e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e 2 Altri, § 251, 28 giugno 2018).
59. Il concetto di “sanzione” nell’articolo 7 ha un significato autonomo. Per rendere effettiva la protezione offerta da questo articolo, la Corte deve rimanere libera di seguire le apparenze e valutare da sola se una determinata misura si traduca in sostanza in una “sanzione” ai sensi di questa disposizione. La formulazione dell’articolo 7 § 1, seconda frase, indica che il punto di partenza in qualsiasi valutazione dell’esistenza di una “sanzione” è se la misura in questione è imposta a seguito di una decisione che una persona è colpevole di un reato. Tuttavia, altri fattori possono anche essere presi in considerazione in quanto pertinenti a tale proposito, vale a dire la natura e lo scopo della misura in questione; la sua caratterizzazione in base al diritto nazionale; le procedure relative all’elaborazione e all’attuazione della misura; e la sua gravità (si veda Ilnseher c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 203, 4 dicembre 2018, e GIEM SRL e a., citata sopra, §§ 210-211 e la giurisprudenza citata in essa).
Applicazione al caso di specie
60. Come notato sopra, se la confisca in questione sia stata imposta a seguito di una condanna per reati, la Corte ha generalmente riscontrato che questo è solo un criterio tra gli altri da prendere in considerazione (vedi Saliba v. Malta (dec.) , n. 4251/02, 23 novembre 2004; e Berland v. Francia, n. 42875/10, § 42, 3 settembre 2015), senza che sia considerato determinante quando si tratta di stabilire la natura della misura (vedi Valico Srl contro Italia (dec.), N. 70074/01, ECHR 2006-III, e Société Oxygène Plus, (dec.) N. 76959/11, § 47, 17 maggio 2016). È solo più raramente che la Corte abbia ritenuto questo aspetto decisivo nel dichiarare inapplicabile l’articolo 7 (v. Yildirim c. Italia (dec.), N. 38602/02, CEDU 2003 ? IV e Bowler International Unit c. Francia, n. 1946/06, § 67, 23 luglio 2009). Nella fattispecie, i ricorrenti sono stati assolti dal reato di riciclaggio di denaro. Tuttavia, l’assenza di una condanna non è sufficiente per escludere l’applicabilità di tale disposizione (vedi G.I.E.M S.R.L. e altri, citata sopra, § 217). Pertanto, nella fattispecie, laddove non è stata emessa alcuna condanna in quanto i ricorrenti sono stati assolti, la Corte deve esaminare se la confisca costituiva una sanzione alla luce degli altri fattori stabiliti nella sua giurisprudenza.
61. Per quanto riguarda la classificazione della confisca ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 2, la Corte nota che, in base al diritto interno, l’intera disposizione, anche con riferimento alle confische applicate in caso di condanna, rientrava nel titolo VI del codice penale intitolato “Obblighi civili e altri effetti derivante da reati ”(paragrafo 31 sopra). Ne consegue che questo titolo può comprendere sia misure punitive che preventive o altri tipi di misure. Secondo la Corte, quindi, ciò non indica che la confisca nella presente causa fosse sicuramente una sanzione (si veda, a contrario, G.I.E.M S.R.L. e altri, citata sopra, § 221).
62. Quanto alla natura e alla finalità della misura di confisca, la Corte ritiene che la misura non fosse punitiva, ma piuttosto preventiva, per i seguenti motivi:
In primo luogo, la confisca ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 2, doveva essere applicata anche se gli articoli non appartenevano all’autore dell’atto in questione;
In secondo luogo, secondo la pertinente dottrina di San Marino (vedere paragrafi 27 e 28 supra) si trattava di una misura preventiva, indipendente da procedimenti penali e da un giudizio di colpa (confronto, M. c. Italia, n. 12386/86, decisione della Commissione del 15 aprile 1991);
In terzo luogo, la Corte accetta che la misura è concepita per impedire l’uso illecito dei fondi e, di conseguenza, anche per prevenire la commissione di ulteriori reati. A questo proposito, la Corte nota che l’articolo 199 bis afferma che l’uso o il trasferimento di denaro che si sa sia stato ottenuto a seguito di reati costituisce riciclaggio di denaro (vedere paragrafo 30 sopra). La Corte osserva che è stato stabilito che i fondi hanno un’origine illecita e che i ricorrenti ne sono consapevoli ora. Ne consegue che i richiedenti potrebbero essere accusati di nuovi atti di riciclaggio di denaro qualora dovessero utilizzare o trasferire tali fondi. In questo contesto giuridico, la Corte conferma il carattere preventivo di una simile confisca intesa a prevenire l’uso illecito di tali proventi, un obiettivo anche perseguito da vari strumenti internazionali (vedere paragrafi 38-40 sopra) (confrontare anche Gogitidze e a. V. Georgia, n. 36862/05, § 101, 12 maggio 2015). In tali circostanze e in particolare in vista dell’assoluzione del richiedente proprio sulla base della mancanza di intenzioni, non si può dire che la misura includesse anche uno scopo punitivo (v., A contrario, Sofia v. San Marino (dec.), No 38977/15, § 63, 2 maggio 2017, e Vannucci v. San Marino, (dec.), N. 33898/15, 28 marzo 2017, concernenti una confisca di beni riciclati, o equivalente, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 147 (3) del codice penale applicabile dopo condanna e Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, § 27, serie A n. 307-A, in cui la confisca dei proventi del traffico di stupefacenti ha fatto seguito a una sentenza di colpevolezza e il suo importo dipendeva dal grado di colpevolezza del richiedente).
63. Per quanto riguarda le procedure per l’adozione e l’esecuzione della misura di confisca, la Corte osserva che, innegabilmente, la misura è soddisfatta dai tribunali della giurisdizione penale. Tuttavia, ciò non può di per sé essere decisivo (vedi implicitamente, Dassa Foundations e a. V. Liechtenstein, (dec.), N. 696/05, 10 luglio 2007). In effetti, è una caratteristica comune di diverse giurisdizioni per i tribunali penali prendere decisioni di natura non punitiva come, ad esempio, la possibilità per i tribunali penali di ordinare misure di riparazione civile per la vittima dell’atto criminale. Inoltre, la Corte osserva che nel caso di specie tali tribunali hanno dovuto valutare l’origine dei fondi, e durante quei procedimenti, che i richiedenti non hanno ritenuto ingiusto, e durante i quali i ricorrenti hanno avuto il diritto di presentare la loro difesa, è stato stabilito che l’origine dei fondi era stata illecita. Questa decisione si basava sulle prove relative agli affari del padre, incluso un giudizio penale nei suoi confronti, e sull’incapacità dei richiedenti di provare l’origine legale del denaro. Pertanto, la valutazione era stata obiettiva e basata su prove pertinenti in assenza di una confutazione riuscita, e pertanto deve essere distinta dai semplici sospetti o speculazioni soggettive (si veda, mutatis mutandis, M. c. Italia, citata sopra).
64. Infine, per quanto riguarda la gravità della misura, la Corte ribadisce che questo fattore non è di per sé determinante, poiché molte misure non penali di natura preventiva possono avere un impatto sostanziale sulla persona interessata (v. Del Río Prada v. Spagna [GC], n. 42750/09, § 82, CEDU 2013). La Corte ritiene che la confisca delle somme nella presente causa non sia sufficientemente severa da giustificare la sua classificazione come sanzione penale. In precedenza la Corte ha affermato che la confisca non è una misura limitata alla sfera del diritto penale, ma che è ampiamente incontrata nella sfera del diritto amministrativo in cui gli articoli soggetti a confisca includono beni importati illegalmente (vedi AGOSI c. Regno Unito, 24). Ottobre 1986, serie A n. 108), oggetti considerati pericolosi di per sé (come armi, bestiame esplosivo o infetto) e proprietà connesse, anche se solo indirettamente, con un’attività criminale (vedi M. v. Italia, Yildirim e Bowler Unità internazionale, tutte citate sopra, e più recentemente Gogitidze e a., Citata sopra, § 126). Ogni confisca deve essere vista nel suo contesto; il riciclaggio di denaro minaccia direttamente lo stato di diritto, come è evidente anche dall’azione del Consiglio d’Europa e di altri organismi internazionali in questo campo. In particolare le Convenzioni del Consiglio d’Europa in materia hanno obbligato gli Stati a criminalizzare il riciclaggio dei proventi di reato e prevedere altre misure volte ad avere una forte politica criminale per combattere questo fenomeno nazionale e internazionale in crescita le cui complessità sono senza precedenti (vedi Podeschi v. San Marino, n. 66357/14, § 181, 13 aprile 2017). In tali circostanze la Corte considera che la misura preventiva era necessaria e appropriata dato l’interesse pubblico coinvolto (vedi, mutatis mutandis, M. c. Italia (citata sopra) e Gogitidze e a., Citata sopra, § 103).
65. Dalle considerazioni che precedono discende che la misura in questione non era una “sanzione” nel suo significato di convenzione autonoma e pertanto l’articolo 7 non è applicabile nel caso di specie.
66. La presente denuncia deve pertanto essere respinta in quanto ratione materiae incompatibile con le disposizioni della Convenzione in conformità con l’Articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE
67. I ricorrenti si lamentarono di una violazione della presunzione di innocenza poiché una confisca dei loro beni era stata applicata indipendentemente dalla loro assoluzione, sollevando così dubbi sulla loro innocenza. Hanno invocato l’articolo 6 § 2 che recita come segue:
“Tutti coloro che sono accusati di un reato devono essere considerati innocenti fino a quando non saranno resi colpevoli dalla legge”.
Le parti inviano
68. I richiedenti presentarono che da quando era stata loro applicata una sanzione penale, erano stati stigmatizzati e la loro presunzione di innocenza era stata violata.
69. Il Governo presentò che mentre i richiedenti erano stati dichiarati innocenti, lo stesso giudice aveva confermato l’origine illecita dei fondi. Tali fondi erano stati generati da reati per i quali il padre dei richiedenti era stato dichiarato colpevole e i richiedenti non erano riusciti a provare alcuna alternativa legittima origine. I proventi dei crimini commessi dal padre erano di per sé illegali e quindi soggetti a confisca ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 2. La misura era indipendente da qualsiasi responsabilità dei richiedenti per il reato di riciclaggio di denaro e non rifletteva l’opinione che i ricorrenti fossero colpevoli di tale reato, nei confronti dei quali sono stati assolti dallo stesso giudice. Ciò è stato tanto più vero in considerazione della natura preventiva della misura. Il governo ha fatto affidamento sui risultati del giudice per i rimedi straordinari e ha ribadito le loro osservazioni ai sensi dell’articolo 7.
70. Fatto salvo quanto sopra, hanno osservato che i richiedenti avevano avuto la possibilità di provare l’origine lecita dei fondi di cui erano in possesso, ma non sono riusciti a soddisfare l’onere della prova. La situazione era quindi diversa da quella di Geerings c. Paesi Bassi (n. 30810/03, 1 marzo 2007) e la presunzione di innocenza era stata rispettata come nel caso di Silickien? v. Lituania (n. 20496/02, 10 aprile 2012).
La valutazione della Corte
Principi generali
71. L’articolo 6 § 2 protegge il diritto di ogni persona a essere “presunta innocente fino a quando non sia stata dichiarata colpevole a norma di legge”. Considerata una salvaguardia procedurale nel contesto del processo penale stesso, la presunzione di innocenza ha anche un altro aspetto. Il suo obiettivo generale, in questo secondo aspetto, è quello di proteggere le persone che sono state assolte da un’accusa penale, o per le quali sono stati sospesi i procedimenti penali, dal trattamento da parte di pubblici ufficiali e autorità come se fossero effettivamente colpevoli del reato addebitato. In questi casi, la presunzione di innocenza ha già operato, attraverso l’applicazione al processo dei vari requisiti inerenti alla garanzia procedurale che offre, per impedire l’imposizione di una condanna penale ingiusta. Senza protezione per garantire il rispetto dell’assoluzione o della decisione di sospensione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie di equo processo di cui all’articolo 6 § 2 potrebbero rischiare di diventare teoriche e illusorie. Ciò che è in gioco anche dopo la conclusione del procedimento penale è la reputazione della persona e il modo in cui tale persona viene percepita dal pubblico. In una certa misura, la protezione offerta ai sensi dell’Articolo 6 § 2 in questo contesto può sovrapporsi alla protezione offerta dall’Articolo 8 (vedere G.I.E.M S.R.L. e a., Citata sopra, § 314).
72. La Corte ribadisce che mentre è chiaro che l’Articolo 6 § 2 regola i procedimenti penali nella loro interezza, e non solo l’esame del merito dell’accusa, il diritto di essere presunto innocente ai sensi dell’Articolo 6 § 2 emerge solo in connessione con il reato particolare per il quale una persona è stata “accusata” (vedi Phillips c. Regno Unito, n. 41087/98, § 35, CEDU 2001-VII).
Applicazione al caso di specie
73. La Corte considera che nella presente causa non c’è dubbio che i richiedenti sono stati assolti delle accuse relative al riciclaggio di denaro e nulla nella sentenza d’appello suggerisce diversamente, incluso l’ordine per la confisca dei loro beni. Infatti, la Corte nota che la misura di confisca nella presente causa non si basava su una constatazione giudiziaria secondo cui i richiedenti avevano tratto alcun vantaggio dai reati di cui erano stati assolti (vedi, a contrario, Geerings, citata sopra, §§ 46-50 ), ma solo sulla base del fatto che, secondo la legislazione nazionale e nello spirito delle norme internazionali nella lotta contro il riciclaggio di denaro, tali fondi non dovrebbero rimanere in circolazione poiché sono stati trovati illeciti e il loro uso – dopo che tale provenienza era stata stabilito – sarebbe stato costitutivo di un reato. Inoltre, a parte essere preventiva e non punitiva (v. Supra, paragrafo 65), la confisca riguardava fondi in possesso dei richiedenti ritenuti illeciti a causa di reati non attribuiti ai richiedenti, ma a terzi (che avevano ha commesso il reato presupposto del riciclaggio di denaro con il quale sono stati accusati i richiedenti). Pertanto, nelle circostanze del caso, la presunzione di innocenza dei ricorrenti non è stata violata dalla semplice imposizione di un ordine di confisca sui beni illeciti.
74. Ne segue che il reclamo sotto l’Articolo 6 § 2 è manifestamente mal-fondato e deve essere respinto in conformità con l’Articolo 35 § 4.
VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
75. I richiedenti si lamentarono che il sistema domestico non fornì loro un rimedio efficace per i loro reclami della Convenzione, sotto gli Articoli 6 § 2 e 7 della Convenzione contrariamente a quello previsto nell’Articolo 13 della Convenzione, che recita come segue:
“Chiunque abbia violato i diritti e le libertà di cui alla [della] Convenzione deve avere un rimedio effettivo dinanzi a un’autorità nazionale, nonostante la violazione sia stata commessa da persone che agiscono a titolo ufficiale.”
76. Il Governo contestò tale argomento.
77. La Corte reitera che l’Articolo 13 non si applica se non ci sono rivendicazioni discutibili (vedi Boyle e Rice contro il Regno Unito, 27 aprile 1988, Serie A n. 131, § 52 e Brincat e Altri contro Malta, nn. 60908/11 e altri 4, § 139, 24 luglio 2014). Come si è visto sopra, le denunce di cui all’articolo 7 e 6 § 2 erano inammissibili ratione materiae e manifestamente mal-fondate rispettivamente. Di conseguenza, tale affermazione non era presente. Ne consegue che, nella fattispecie, l’articolo 13 non è applicabile in combinato disposto con le disposizioni citate.
78. Di conseguenza, la denuncia ai sensi dell’articolo 13 è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 § 4.
VIOLAZIONE ADDOTTA DELL ‘ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
79. I ricorrenti si lamentarono inoltre che l’interferenza con il loro diritto di proprietà era stata illegale e sproporzionata. Hanno invocato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione che recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al godimento pacifico dei suoi beni. Nessuno può essere privato dei suoi beni se non nell’interesse pubblico e soggetto alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non devono tuttavia in alcun modo pregiudicare il diritto di uno Stato di far rispettare le leggi che ritiene necessarie per controllare l’uso della proprietà in conformità con l’interesse generale o per garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni. ”
Ammissibilità
80. La Corte reitera che l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione, che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, comprende tre regole distinte. Il primo, che è espresso nella prima frase del primo paragrafo, stabilisce il principio del godimento pacifico della proprietà in generale. La seconda regola, nella seconda frase dello stesso paragrafo, copre la privazione dei beni e la rende soggetta a determinate condizioni. Il terzo, contenuto nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati contraenti hanno il diritto, tra le altre cose, di controllare l’uso della proprietà conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza regola, che riguardano casi particolari di interferenza con il diritto al godimento pacifico della proprietà, devono essere interpretate alla luce del principio generale stabilito nella prima regola (v., Tra molte autorità, Immobiliare Saffi v. Italia [CG], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999-V).
81. La Corte nota che nei casi in cui la confisca seguiva una condanna, e quindi costituiva una sanzione, la Corte trovò che tale interferenza rientrava nel campo di applicazione dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1, che, tra l’altro, consente gli Stati contraenti a controllare l’uso della proprietà per garantire il pagamento delle sanzioni. Tale disposizione doveva essere interpretata alla luce del principio generale enunciato nella prima frase del primo paragrafo, in base al quale esiste una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo cercato di essere realizzato (v., Tra molti esempi , Sofia, citata sopra e Phillips, citata sopra, § 51). In altri casi, in cui era stata imposta una misura di confisca indipendentemente dall’esistenza di una condanna penale ma piuttosto a seguito di procedimenti giudiziari “civili” (ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione) separati finalizzati al recupero di beni ritenuta acquisita illegalmente, la Corte ha nuovamente ritenuto che tale misura, anche se comporta la decadenza irrevocabile di beni, costituisce tuttavia il controllo dell’uso della proprietà ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1 e in tali casi, inoltre, la misura doveva essere ragionevolmente proporzionata allo scopo cercato di essere realizzato (vedi Gogitidze e a., citati sopra, §§ 94 e 97).
82. La Corte in primo luogo osserva che non è in discussione tra le parti che l’ordine di confisca riguardante i beni dei richiedenti costituiva un’interferenza con il loro diritto al godimento pacifico dei loro possedimenti e che l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 è quindi applicabile. La Corte nota inoltre che nella presente causa la confisca non si basava su una condanna penale, né era il risultato di procedimenti “civili” separati, ma che il caso cade comunque per essere esaminato come uno di controllo dell’uso della proprietà all’interno il significato dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1.
83. La Corte constata che il reclamo non è manifestamente mal-fondato all’interno del significato dell ‘Articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Nota inoltre che non è inammissibile per altri motivi. Deve quindi essere dichiarato ricevibile.
Ammissibilità
80. La Corte reitera che l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione, che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, comprende tre regole distinte. Il primo, che è espresso nella prima frase del primo paragrafo, stabilisce il principio del godimento pacifico della proprietà in generale. La seconda regola, nella seconda frase dello stesso paragrafo, copre la privazione dei beni e la rende soggetta a determinate condizioni. Il terzo, contenuto nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati contraenti hanno il diritto, tra le altre cose, di controllare l’uso della proprietà conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza regola, che riguardano casi particolari di interferenza con il diritto al godimento pacifico della proprietà, devono essere interpretate alla luce del principio generale stabilito nella prima regola (v., Tra molte autorità, Immobiliare Saffi v. Italia [CG], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999-V).
81. La Corte nota che nei casi in cui la confisca seguiva una condanna, e quindi costituiva una sanzione, la Corte trovò che tale interferenza rientrava nel campo di applicazione dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1, che, tra l’altro, consente gli Stati contraenti a controllare l’uso della proprietà per garantire il pagamento delle sanzioni. Tale disposizione doveva essere interpretata alla luce del principio generale enunciato nella prima frase del primo paragrafo, in base al quale esiste una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo cercato di essere realizzato (v., Tra molti esempi , Sofia, citata sopra e Phillips, citata sopra, § 51). In altri casi, in cui era stata imposta una misura di confisca indipendentemente dall’esistenza di una condanna penale ma piuttosto a seguito di procedimenti giudiziari “civili” (ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione) separati finalizzati al recupero di beni ritenuta acquisita illegalmente, la Corte ha nuovamente ritenuto che tale misura, anche se comporta la decadenza irrevocabile di beni, costituisce tuttavia il controllo dell’uso della proprietà ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1 e in tali casi, inoltre, la misura doveva essere ragionevolmente proporzionata allo scopo cercato di essere realizzato (vedi Gogitidze e a., citati sopra, §§ 94 e 97).
82. La Corte in primo luogo osserva che non è in discussione tra le parti che l’ordine di confisca riguardante i beni dei richiedenti costituiva un’interferenza con il loro diritto al godimento pacifico dei loro possedimenti e che l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 è quindi applicabile. La Corte nota inoltre che nella presente causa la confisca non si basava su una condanna penale, né era il risultato di procedimenti “civili” separati, ma che il caso cade comunque per essere esaminato come uno di controllo dell’uso della proprietà all’interno il significato dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1.
83. La Corte constata che il reclamo non è manifestamente mal-fondato all’interno del significato dell ‘Articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Nota inoltre che non è inammissibile per altri motivi. Deve quindi essere dichiarato ricevibile.
Meriti
Le osservazioni del richiedente
84. I ricorrenti hanno ritenuto che la misura ad essi applicata non fosse stata lecita in quanto, in appello, il giudice aveva applicato qualcosa tra l’articolo 147, paragrafi 1 e 2, del codice penale, anche se nessuna disposizione era applicabile nel loro caso . A loro avviso, il codice penale non prevedeva una situazione come quella nel caso di specie in cui si presumeva che le somme fossero “utili” di altri reati che non sono stati esaminati nel contesto della procedura durante la quale la misura è stata applicata. Hanno ritenuto che le somme fossero state confiscate perché erano il prodotto di attività illegali (articolo 147, paragrafo 1), e non perché erano di per sé pericolose o costituivano un crimine come richiesto dall’articolo 147, paragrafo 2, che è stato loro applicato .
85. Il Governo presentò che l’interferenza era conforme alla legge, in particolare l’articolo 147, paragrafo 2, del codice penale che era preciso e prevedibile nell’ordinare la confisca obbligatoria data l’origine illecita delle somme. Hanno osservato che tale interpretazione era stata coerente con la giurisprudenza nazionale (sentenza del giudice del ricorso penale del 18 aprile 2016, n. 229/2012).
86. Hanno anche ritenuto che la misura fosse giustificata per le ragioni esposte a livello nazionale (cfr. Paragrafo 29 sopra), rilevando che la necessità di eliminare l’impatto altamente negativo delle attività criminali a tutti i livelli era senza dubbio importante. La misura aveva raggiunto un giusto equilibrio nella misura in cui i richiedenti avevano avuto l’opportunità di dimostrare la liceità dei fondi, ma non l’avevano fatto.
La valutazione della Corte
(a) Principi generali
87. Una condizione essenziale affinché l’interferenza sia considerata compatibile con l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 è che dovrebbe essere lecita: il secondo paragrafo riconosce che gli Stati hanno il diritto di controllare l’uso della proprietà facendo rispettare “leggi”. Inoltre, qualsiasi interferenza di un’autorità pubblica con il godimento pacifico dei beni può essere giustificata solo se serve un interesse pubblico (o generale) legittimo. A causa della loro conoscenza diretta della loro società e dei suoi bisogni, in linea di principio le autorità nazionali sono in una posizione migliore rispetto al giudice internazionale per decidere cosa sia “nell’interesse pubblico”. In base al sistema di protezione istituito dalla Convenzione, spetta quindi alle autorità nazionali valutare inizialmente l’esistenza di un problema di interesse pubblico che garantisce misure che interferiscono con il godimento pacifico dei beni (cfr. Terazzi Srl c. Italia, no 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002, e Wieczorek contro Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009).
88. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 richiede inoltre che qualsiasi interferenza sia ragionevolmente proporzionata all’obiettivo perseguito. In altre parole, deve essere raggiunto un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della comunità e le esigenze di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo. Non è possibile trovare il necessario equilibrio se la persona o le persone interessate hanno dovuto sostenere un onere individuale ed eccessivo (cfr., Tra le altre autorità, L’ex re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, §§ 79 e 82, CEDU 2000-XII, e Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 81-94, CEDU 2005-VI). Inoltre, un ampio margine di apprezzamento è generalmente concesso allo Stato ai sensi della Convenzione quando si tratta di misure generali di strategia politica, economica o sociale e la Corte generalmente rispetta la scelta politica del legislatore a meno che non sia “manifestamente senza fondamento ragionevole” (vedi Azienda Agricola Silverfunghi Sas e a. Contro Italia, nn. 48357/07, 52677/07, 52687/07 e 52701/07, § 103, 24 giugno 2014).
(b) Applicazione al caso di specie
89. La Corte nota che la confisca dei beni dei richiedenti fu ordinata dal tribunale nazionale sulla base dell’articolo 147 (2) del Codice Penale. Alla luce delle osservazioni della ricorrente, si deve ricordare che i tribunali nazionali sono incaricati di risolvere i problemi di interpretazione e applicazione della legislazione nazionale, nonché le norme di diritto internazionale generale o di accordo internazionale (v. Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 79, 6 dicembre 2007). Vista la formulazione di tale disposizione, la Corte non trova nulla di arbitrario nell’interpretazione data all’articolo 147, paragrafo 2, che prevedeva la confisca, in assenza di condanna, di tutti gli elementi che costituivano un reato. Il fatto che le somme di denaro rientrino nella sfera di competenza della parola “elementi” è del tutto plausibile indipendentemente dal fatto che tali elementi costituiscano i “proventi di un reato”, un concetto di cui all’articolo 147, paragrafo 1. La Corte ritiene che alla luce della formulazione dell’articolo 147, paragrafo 2, i ricorrenti non avrebbero potuto immaginare che le somme – la cui origine lecita non potevano provare – sarebbero rimaste in loro possesso. Secondo la Corte, pertanto, non vi sono dubbi sulla chiarezza, precisione o prevedibilità di tale disposizione.
90. La Corte richiama i casi precedenti in cui era richiesto di esaminare, dal punto di vista del test di proporzionalità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, le procedure per la decadenza dei beni legate alla presunta commissione di vari reati gravi. Per quanto riguarda la presunta proprietà acquisita in tutto o in parte con i proventi di reati di traffico di stupefacenti (vedi Webb c. Regno Unito (dec.), N. 56054/00, 10 febbraio 2004; e Butler c. Regno Unito (dec.), N. 41661/98) o da organizzazioni criminali coinvolte nel traffico di stupefacenti (cfr. Arcuri e a. C. Italia (dec.), N. 52024/99, CEDU 2001 VII e Morabito e a. V. Italia (dec.), 58572/00, CEDU 7 giugno 2005) o da altre attività illecite di tipo mafioso (vedi Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 30, Serie A n. 281-A), la Corte ha ammesso che le misure di confisca erano proporzionate, anche in assenza di una condanna che stabilisse la colpevolezza dell’imputato.
91. La Corte ha inoltre ritenuto legittimo che le autorità nazionali competenti emettessero ordini di confisca sulla base di una preponderanza di prove che suggeriva che i redditi legittimi degli intervistati non avrebbero potuto essere sufficienti per acquisire la proprietà in questione. Infatti, ogni volta che un ordine di confisca era il risultato di procedimenti civili in atto che si riferivano ai proventi di reato derivanti da reati gravi, la Corte non ha richiesto la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” delle origini illecite della proprietà in tali procedimenti. Invece, la prova su un bilancio di probabilità o un’alta probabilità di origini illecite, combinata con l’incapacità del proprietario di dimostrare il contrario, è risultata sufficiente ai fini del test di proporzionalità ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (confronta anche con il caso di Silickien?, sopra citato, §§ 60-70, in cui è stata applicata una misura di confisca alla vedova di un presunto funzionario pubblico corrotto). Più recentemente nella causa Gogitidze e a. (Citata sopra, § 108, concernente una confisca applicata in procedimenti civili), la Corte ha anche riscontrato che i procedimenti civili in corso attraverso i quali i ricorrenti – uno dei quali era stato direttamente accusato di corruzione in una serie separata di procedimenti penali, e altri due richiedenti, si presumeva che i familiari dell’imputato avessero beneficiato indebitamente dei proventi del suo crimine – avevano subito confische delle loro proprietà, non potevano essere considerati arbitrari o sconvolgere la proporzionalità prova ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. La Corte ha ritenuto ragionevole che tutti e tre i richiedenti fossero tenuti a scaricare la loro parte dell’onere della prova confutando i sospetti fondati del procuratore circa l’origine illecita dei loro beni.
92. In Gogitidze e a. (Sopra citato, § 105) visti i meccanismi giuridici internazionali quali la Convenzione delle Nazioni Unite del 2005 sulla corruzione, le raccomandazioni della Task Force dell’azione finanziaria (GAFI) e le due convenzioni del Consiglio d’Europa del 1990 e 2005 in merito alla confisca dei proventi di reato (STE n ° 141 e STE n ° 198) (vedere paragrafi 38 e 39 sopra), la Corte ha osservato che “si può affermare che esistono norme giuridiche comuni europee e persino universali che incoraggiano, in primo luogo, il confisca di beni connessi a reati gravi quali corruzione, riciclaggio di denaro, reati di droga e così via, senza la precedente esistenza di una condanna penale. In secondo luogo, l’onere di provare l’origine lecita della proprietà presumibilmente acquisita in modo errato può essere legittimamente trasferito ai rispondenti in tali procedimenti non penali per la confisca, compresi i procedimenti civili in corso. In terzo luogo, le misure di confisca possono essere applicate non solo ai proventi diretti del crimine ma anche ai beni, compresi eventuali redditi e altri benefici indiretti, ottenuti convertendo o trasformando i proventi diretti del crimine o mescolandoli con altri beni, possibilmente legittimi. Infine, le misure di confisca possono essere applicate non solo alle persone direttamente sospettate di reati, ma anche a terzi che detengono i diritti di proprietà senza la buona fede necessaria al fine di mascherare il loro ruolo illecito nell’accumulare la ricchezza in questione ”.
93. La Corte nota che nella presente causa le somme sono state trovate dai tribunali nazionali per avere origini illecite e che durante tali procedimenti ai richiedenti, che erano legalmente rappresentati, è stata offerta una ragionevole opportunità di presentare i loro argomenti davanti ai tribunali nazionali ( vedi Piras contro San Marino, (dec.) n. 27803/16, § 59, 27 giugno 2017 e Jokela contro Finlandia, n. 28856/95, § 45, CEDU 2002-IV). Lo scopo della confisca era eliminare tali fondi dalla circolazione ulteriore nell’economia, una misura in linea con le norme internazionali sopra menzionate. A tale proposito, la Corte ribadisce che gli Stati convenuti devono avere un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda ciò che costituisce il mezzo appropriato per applicare misure per controllare l’uso di proprietà come la confisca di tutti i tipi di proventi di reato (si veda ad esempio , Yildirim e Butler, entrambi citati sopra).
94. Alla luce di quanto precede, tenuto conto dell’ampio margine di apprezzamento delle autorità e del fatto che i tribunali nazionali hanno offerto ai richiedenti una ragionevole opportunità di sottoporre il loro procedimento a procedimento contraddittorio, la Corte conclude che la confisca dei ricorrenti ‘attività, non ha sconvolto il giusto equilibrio equo.
95. Di conseguenza, non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, UNANIMAMENTE,
Decide di aderire alle applicazioni;
Dichiara ammissibili le denunce relative all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e il resto delle domande irricevibili;
Sostiene che non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto l’8 ottobre 2019, facendo seguito all’Articolo 77 §§ 2 e 3 dell’Ordinamento di Corte.
Stephen Phillips – Registrar
Georgios A. Serghides – President