Processo a chi ha processato la strega. Venerdì si torna in aula, a Forlì. Alla sbarra Roberto e Thomas Tieni, padre e fratello di quella Katia che accusò l’amica cesenate, Dalila Morigi, di maleficio. Si torna in aula, dicevamo. Perché una prima sentenza c’è già stata e ha portato alla condanna di Katia Tieni – due anni e due mesi – e del suo fidanzato di allora, Alessandro Buscaroli a tre anni di reclusione.
Processo a chi, secondo l’accusa, nell’aprile dello scorso anno organizzò la spedizione punitiva a casa di Dalila. Dalila è Dalila Morigi, leggenda nel sottobosco del mondo dark. Ma costretta ormai, dice lei, «ad un vita raminga» dopo i «postumi» di una nottata da film dell’orrore. Protagonista – tra il 13 e il 14 aprile scorsi – di una pellicola girata dal vivo nel casolare di Sant’Andrea in Bagnolo dove, Dalila, sarebbe stata condotta per espiare «la colpa di avere lanciato il malocchio» a Katia. Già, Katia. Amica del cuore. Regina, come lei, negli stessi affreschi notturni dei locali di tendenza. E venerdì davanti al giudice sfileranno gli altri due protagonisti della storia: il padre e il fratello di Katia. «Mi aspetto giustizia – così Dalila – e spero si metta un punto fermo in quella che ormai è una vita da gitana». Senza punti fissi. «Vivo in camper – racconta la ex dark lady – o da amici, in giro per l’Italia».
Sostiene, Dalila, che «ogni rumore notturno» riconduce la memoria alla notte in cui – riportano le carte processuali – gli aggressori avrebbero urlato: «Lo sai cosa hai fatto a mia figlia? Ammettilo, ammettilo che sei stata tu! Le hai fatto una maledizione, un malocchio e per colpa tua sta morendo! Se muore vengo subito ad ucciderti». Oppure: «Adesso dicci la verità o ti do fuoco qui!». «L’acqua bollente versata in bocca, le minacce, quel coltello puntato contro – ricorda Dalila – sono sempre lì». Sempre lì, come uno spazio sospeso tra ciò che è stato e ciò che «potrebbe sempre ritornare».
La nuova vita di Dalila è scandita dai viaggi come modella per i fotografi del mistero sexy, un pitbull che la segue come un’ombra e località di montagna dove ogni tanto fugge. Tipo a San Piero in Bagno. «Per dormire – afferma – a volte prendo i sonniferi». I primi due pezzi della banda sono stati condannati in primo grado e costretti a risarcire Dalila e suo padre Aurelio Morigi – anche lui aggredito – di 20mila euro di danni. «Ci aspettiamo di chiudere il cerchio – conclude la Morigi – e di ricominciare a vivere». Vivere, come se le streghe fossero solo i personaggi di un mondo passato. E dove, come ha fatto Dalila, per farsi aiutare «ci si rivolge al Centro donna» e non ad altri personaggi dell’oscurità 2.0. Il Resto del Carlino