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  • Cesenatico. Sottrasse 4 milioni a parenti e amici e se li giocò alle slot machine. I cittadini: «Qui non si deve più fare vedere. Ha tradito tutta la nostra fiducia»

    Ha perso 15 chili, non ha più un euro e nel cuore porta un macigno: avere rubato milioni per la malattia del gioco. Ma San Piero in Bagno lo condanna comunque all’esilio. Silvio Vannini, il manager finanziario che ha sottratto quasi 4 milioni a parenti e amici per giocarsi tutto alle slot machine del casinò di Venezia per i più è ormai un ex cittadino di San Piero. «Le scuse? Mah – così dicono al bar il Voltone a San Piero –. Meglio per lui se non torna. E lo dico da amico».

    Il 15 marzo 2015 per la gente di Bagno e San Piero è una di quelle date da ricordare. Quei giorni in cui, anche a distanza di tempo, ci si ricorda dove si era e cosa si stava facendo. Come una finale dei mondiali, come un terremoto. Il 15 marzo 2015 è il giorno in cui Vannini si è presentato alla Guardia di finanza di Forlì per costituirsi e ammettere di avere buttato i soldi dei clienti al gioco. Tanti soldi. «Uno di qui gli ha dato 700mila euro. Sai quanti soldi sono 700mila euro? Una cifra pazzesca».

    Il caso Vannini è sulla bocca di tutti dopo che il reo confesso è uscito dalla grotta del silenzio per dare la sua versione ripercorrendo, come quando si sfoglia l’album fotografico, le tappe della sua ascesa e, soprattutto, della sua caduta. Vannini è uno che ha avuto tutto e ha perso tutto ma soprattutto quello che non era suo. Un ‘self made man’ cresciuto con la benzina degli anni Ottanta e finito, parole sue, ‘a pranzare alla Caritas’ per colpa del demone del gioco. «La ludopatia è una malattia mostruosa – confida Rossano –. Frequentava il bar dove andavo io ma non l’ho mai visto mettere un euro alle macchinette. Mai». Invece dal 2012 al 2015 Vannini avrebbe trascorso più tempo al casinò di Venezia che a casa sua a San Piero.

    Vannini ha vuotato il sacco ammettendo, prima, di essere stato «malato di gioco» poi «di avere sottratto i soldi di altri per le slot machine». «Le scuse lasciano il tempo che trovano. La compassione che si può provare fa a pugni con le macerie lasciate nelle vite di tante persone. Anche dei suoi familiari. C’è tanta rabbia. Quassù c’è qualcuno che potrebbe fargli la pelle». Insomma meglio se Vannini non si fa vedere a San Piero. Costretto all’esilio, si diceva. Eppure c’è stato un tempo in cui al bar il Voltone quel bancario venuto da Bibbiena, l’uomo che aveva sposato la più bella della vallata, era guardato con un mix di stima e di invidia. «Sicuro di se stesso, brillante – assicura il vecchio amico –. Era amato, in alcuni momenti quasi venerato».

    Uno che ce l’aveva fatta con le sue forze. Silvio Vannini da Bibbiena perde i genitori molto presto. Entra in banca quando ha ancora i calzoni corti e si laurea in giurisprudenza mentre lavora. Nel 1983, in pieno fervore economico, non si accontenta della carriera all’interno dell’istituto di credito ma sceglie di entrare nel magico mondo delle banche d’investimento. Classe, fame di arrivare e caparbietà sorreggono la sua scalata lungo la parete dell’ascesa sociale. E scattano Porsche, Mercedes, case, vacanze e vita di agi. «Tutto frutto del mio sudore – ha precisato Vannini nell’intervista al Carlino qualche giorno fa–. Tutto quello che toccavo diventava oro». Per sé e, inizialmente, anche per gli altri. «Si era guadagnato la fiducia di tutti, ecco perché tutti si sono fidati di lui». Era come un Re Mida. E chi gli portava i soldi, anche nelle valigie si dice in vallata, forse voleva essere come lui. «Quella mattina, quando ci siamo visti le telecamere di Rai Uno a San Piero – ricordano al ‘sali e tabacchi’ – non potevamo credere ai nostri occhi. A qualcuno può fare pena, a me no. Quello che ha fatto è troppo grave anche se credo stia pagando tutto, con gli interessi». Così i sogni sono diventati incubi. E le ambizioni polverizzate come i milioni di euro andati in fumo una mattina di marzo. Il Resto del Carlino