Che cosa ci lascia in eredità il “caso” Banca Centrale? di Matteo Fiorini (AP) e Andrea Zafferani (AP)

Che cosa ci lascia in eredità il “caso” Banca Centrale? Si sono sentite le più disparate considerazioni, sia in Consiglio che sulla stampa. Da chi ha fatto rilevare il legame fra alcune ispezioni scomode e questo “licenziamento”, a chi ha puntato il dito contro l’inadeguatezza della vigilanza fatta da Bcsm (citando i casi Banca del Titano, Asset, Carisp); da chi ha criticato i tempi di questa “rimozione”, in un momento di difficoltà per il sistema finanziario, a chi ha fatto rilevare i ritardi di Bcsm nella messa in campo di adeguati rimedi contro lo scudo fiscale; da chi ha denunciato il modo con cui tale allontanamento è avvenuto, puntando al cuore dell’attività di vigilanza e mettendo in discussione l’autonomia della Banca Centrale, a chi ha fatto notare come questa autonomia sia stata poco praticata nel corso degli anni passati, e come sia legittimo per un Governo intervenire qualora ritenga inadeguata la gestione della Banca Centrale; da chi, infine, ha fatto rilevare il modo con cui le dimissioni sono state comunicate, poco rispettose della Reggenza e della Repubblica, a chi ha puntato il dito contro le ingerenze e le pressioni subite da Bcsm. Queste sono solo alcune delle motivazioni addotte, che possono essere tutte valide e tutte opinabili, a seconda del punto di vista. Ma c’è una cosa che pensiamo sia chiara a tutti, e che rappresenta il vero aspetto negativo della vicenda: si è data l’impressione che i vigilati, le autorità finanziarie esterne, i potenziali investitori debbano rapportarsi non con una Banca Centrale forte, autorevole e autonoma nelle sue decisioni, ma bensì col potere politico. Ogni sistema finanziario che voglia crescere ha bisogno di una Banca Centrale autorevole, indipendente e autonoma nelle sue attività, specie la vigilanza, che non può essere sottoposta continuamente alla “mannaia” del potere politico che improvvisamente decida di rimuoverne i vertici. La nostra Banca Centrale è un’istituzione giovane, deve costruirsi credibilità e reputazione: un atto di questo genere ne riduce la credibilità, può dare il segno all’esterno di un “commissariamento” di fatto, e far pensare a un sistema ancora “provinciale” e ricco di interferenze. Come rimediare? Dobbiamo dimostrare a chi ci guarda da fuori, e da fuori analizza e valuta l’appetibilità del Paese, che non c’è questa volontà di commissariare, ma che c’è invece veramente la voglia di rilanciare e rafforzare l’istituzione e la sua autonomia. Per far questo, non bastano dichiarazioni estemporanee, servono i fatti. È chiaro a tutti che la politica deve avere il potere di scegliere le persone che devono guidare la Bcsm, ma questo potere deve essere ben pesato. Serve a nostro parere riformare lo Statuto di Banca Centrale in 2 direzioni: • i mandati dei vertici devono essere più brevi: 3 anni per gli ispettori di vigilanza, 5 per Presidente e 6 per il Direttore sono mandati troppo lunghi. Possono essere uniformati e ridotti, ma poi devono essere rispettati, salvo casi di particolare gravità (avvisi di garanzia, condanne, ecc…), ed eventualmente non rinnovati solo a scadenza. Bisogna permettere alle persone scelte di lavorare con tranquillità per la durata del loro mandato. • la scelta di Presidente e Direttore Generale deve essere fatta dal Consiglio Grande e Generale a maggioranza dei 2/3, così come a maggioranza dei 2/3 va decisa l’eventuale rimozione anticipata dei nominati: l’Autorità di Vigilanza è di tutti, non solo della maggioranza di turno. Invitiamo tutti ad una riflessione su questo tema. Abbiamo messo in discussione la credibilità della nostra Banca Centrale e del sistema Paese con questa vicenda, e dobbiamo recuperarla, anche per non ingenerare il dubbio che i nuovi vertici che nomineremo siano sottoposti alla stessa “scure” degli umori del Governo di turno. Se il Patto chiede cambiamento nei metodi, dia davvero l’impressione di volerla attuare.

Matteo Fiorini

Andrea Zafferani