Chi lavora per risolvere il complicato rebus di un premier al Colle

Super-presidente. Ovvero, due presidenti in una parola sola. Questo accadrebbe se Draghi fosse eletto capo dello Stato quando, tra il 20 e il 24 gennaio, il Parlamento sarà convocato in seduta comune per dare il via alle votazioni del successore di Mattarella. Uno scenario senza precedenti, perché un trasloco diretto da Palazzo Chigi al Quirinale non si è mai verificato. Ma che non è affatto un’ipotesi di scuola, visto che l’ex numero uno della Bce è più che disponibile a tentare la scalata al Colle. Lo confermano le frenetiche interlocuzioni in corso da giorni tra i diversi uffici di Quirinale e Montecitorio, in particolare quelli della presidenza e degli Affari giuridici. Sul Colle sono alle prese con il delicato dossier per evidente competenza, mentre alla Camera perché è proprio il presidente di Montecitorio che dirama la convocazione del Parlamento in seduta comune «trenta giorni prima che scada il termine» del mandato del capo dello Stato uscente (cioè il 3 febbraio). Sarà Fico, insomma, a gestire il timing della successione. Un confronto – quello tra Quirinale e Camera – che, per conoscenza, sta coinvolgendo anche Palazzo Chigi. Il groviglio da sciogliere, d’altra parte, ha a che vedere con l’ipotesi in cui l’attuale premier traslochi al Colle. Uno scenario reso verosimile anche dal fatto che l’ex Bce sta lanciando da tempo segnali eloquenti in questo senso. E il fatto che Draghi sia pronto a mettersi in gioco è, evidentemente, non proprio un dettaglio. Dovesse andare fino in fondo, infatti, sarebbe difficile per i partiti non appoggiare un profilo forte e autorevole come il suo. Nonostante i rischi di una simile operazione, che – qualora fallisse, impallinata dai franchi tiratori – potrebbe mandare in malora in poche ore tutto quello che è stato fatto di buono quest’anno. Peraltro in un contesto difficile, con la pandemia che avanza, il Pnrr ancora da innestare e un’inflazione che non si dà pace. Per non dire dello scenario successivo, quello di un governo dopo Draghi. Dal quale – chiunque sia il premier, da Franco a Cartabia – si chiamerebbe quasi certamente fuori la Lega. Lasciando al successore dell’ex banchiere una «maggioranza Ursula» nella quale Forza Italia e Italia viva risulterebbero nei mesi a venire numericamente determinanti. Insomma, un esecutivo debole e che dal primo giorno sarebbe sotto l’attacco incrociato di Carroccio e Fratelli d’Italia. Certo, a quel punto è plausibile pensare che i partiti di governo finirebbero per trovare un’intesa su una riforma elettorale proporzionale che metta all’angolo proprio Lega e FdI. Ma è evidente che si andrebbe incontro a un anno di profonda instabilità.

Al netto di tutti questi ragionamenti, però, ad oggi il premier è in campo per la disfida del Colle. Di qui il lavorio degli uffici di Quirinale e Montecitorio per capire come, eventualmente, gestire quello che sarebbe uno scenario senza precedenti. Una strada – per certi versi la più codificata – prevede che, appena eletto capo dello Stato, Draghi salga al Colle per dimettersi da premier. A quel punto – anche facendo riferimento all’articolo 8 della legge 400 del 1998 che in caso di «impedimento» del presidente del Consiglio prevede la supplenza del ministro più anziano – Brunetta assumerebbe il ruolo di premier reggente. La palla passerebbe dunque a Mattarella. Se tutto ciò avvenisse prima del 3 febbraio, il capo dello Stato uscente dovrebbe dimettersi cosicché possano essere convocate le Camere per fare giurare il nuovo presidente. In quelle ore – magari solo 12, forse 36 o 48 – potremmo trovarci davanti uno scenario senza precedenti: Brunetta premier reggente e Casellati capo dello Stato reggente. Se il cambio della guardia al Colle avvenisse invece dopo il 3 febbraio, sarebbe prorogato Mattarella e la procedura risulterebbe più snella. C’è anche un’altra strada, che presuppone però un accordo politico condiviso sia su Draghi al Colle che sul suo successore a Chigi. A quel punto la reggenza di Brunetta durerebbe poche ore e – proprio in nome di un’intesa sottoscritta da tutti – potrebbe essere direttamente Mattarella a incaricare un nuovo premier, svincolando così Draghi che a quel punto non avrebbe più alcun «impedimento».

Per molti saranno solo sofismi costituzionali. Ma è su questo che si ragiona da giorni al Quirinale, a Montecitorio e, ovviamente, a Palazzo Chigi.


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