Chi rappresenta davvero il fronte pro-Palestina a San Marino?

Un punto che viene accuratamente evitato nel dibattito è questo: chi parla davvero a nome del fronte pro-Palestina a San Marino? Quali e quanti cittadini sono impegnati in questo ”collettivo”? E chi sono?

Non esiste un’associazione formalmente riconosciuta, non esiste uno statuto, non esiste un elenco di aderenti, non esiste una rappresentanza eletta. Esiste un collettivo informale, che si presenta nello spazio pubblico attraverso comunicati, iniziative e prese di posizione mediatiche, ma senza alcuna responsabilità giuridica o politica formalizzata.

I volti che emergono sono sempre gli stessi: attivisti, simpatizzanti e soggetti politicamente collocati nell’area della sinistra radicale, spesso già noti per battaglie ideologiche su altri temi e non certo rappresentativi della maggioranza silenziosa del Paese. Alcuni di questi soggetti non risultano nemmeno cittadini sammarinesi, ma partecipano comunque al dibattito interno come se ne avessero titolo politico diretto.

Questo non è illegittimo sul piano dell’opinione. Diventa però gravissimo sul piano democratico quando un gruppo non censito, non rappresentativo e non responsabile riesce a influenzare decisioni di Stato che comportano spesa pubblica, effetti sociali e potenziali rischi per la sicurezza, senza che sia mai chiaro chi risponde di quelle scelte nel tempo.

In altre parole: non sappiamo quanti siano, non sappiamo chi siano tutti, non sappiamo chi rappresentino, ma sappiamo che le conseguenze delle decisioni ottenute non ricadranno su di loro, bensì sull’intera collettività sammarinese. L’ho chiesto in una mail dove non ho ricevuto risposta.
È questa squilibrio tra chi spinge e chi paga il vero vulnus democratico di tutta l’operazione.

Non è in discussione la compassione individuale, né il diritto di ciascuno a esprimere solidarietà. È in discussione chi decide, con quale legittimazione e a carico di chi. Perché qui non siamo davanti a un gesto simbolico, ma a una scelta strutturale che crea costi, apre precedenti e innesca dinamiche che nessuno potrà più governare.

Quando una minoranza militante riesce a imporre allo Stato una decisione che poi pagano tutti, non è solidarietà. È uno scarto di responsabilità. Chi spinge non risponde, chi paga non decide. E questo, in una Repubblica piccola e fragile, è un problema politico serio, non un dettaglio.

Se la politica vuole fare atti di coscienza, lo faccia a titolo personale.

Se usa lo Stato, allora accetti il confronto, la trasparenza dei costi e il controllo democratico. Tutto il resto è propaganda emotiva.

San Marino non può permettersi decisioni irreversibili prese sull’onda ideologica del momento. Perché quando l’emergenza passa, le conseguenze restano. E a restare, come sempre, non saranno quelli che oggi applaudono, ma i sammarinesi.