«Una colossale truffa». Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani parla della fiammata dei prezzi di benzina e diesel alla pompa e lancia una bomba sul governo ora chiamato, in Aula, a disinnescarla. «Stiamo assistendo ad un aumento del prezzo dei carburanti ingiustificato, non esiste motivazione tecnica di questi rialzi. La crescita non è correlata alla realtà dei fatti è una spirale speculativa, su cui guadagnano in pochi, una colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini», ha detto Cingolani a Sky Tg 24 scatenando un fiume di reazioni.
Ecco perché ieri il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, intervenuto telefonicamente durante la riunione del partito a Palermo in vista delle amministrative, ha sostenuto la necessità di un intervento per ridurre l’impatto su famiglie e imprese dei rialzi insostenibili dei prezzi dei carburanti e dell’energia. «Cingolani riferisca sui fatti come persona informata», hanno chiesto Davide Faraone (Iv) e Riccardo Nencini (Psi).
Effettivamente l’accusa è specifica e alla vigilia dello stop minacciato dagli autotrasportatori genera più di un interrogativo. A cosa fa riferimento Cingolani quando parla di speculazione? Va ricordato che il 51% del prezzo della benzina è costituito di tasse: alle accise pari a 0,728 euro/litro per la benzina (0,617 per il diesel) si somma l’Iva (al 22%). Ciò che resta (circa 1-1,2 euro) è quella che oggi potremmo definire parafrasando Cingolani «la zona grigia». Per avere la benzina alla pompa, infatti, sono necessari diversi passaggi ognuno dei quali va a comporre il prezzo finale: estrazione, raffinazione, trasporto e distribuzione. E su questi agisce anche la speculazione finanziaria che più che seguire la legge della domanda e dell’offerta è legata alla potenziale carenza di petrolio (nel caso di speculazione al rialzo) legata a un’emergenza specifica (come la guerra).
A ballare sono quindi il costo per estrarre il petrolio (calcolato al barile) e quello della raffinazione. Quest’ultimo fa riferimento al Platts, il «valore effettivo dei prodotti raffinati». Platts è un’agenzia indipendente, con sede a Londra, che definisce il prezzo praticato dalle raffinerie in un determinato giorno e in una determinata area. Si tratta di due costi slegati tra loro: al variare del prezzo del barile non è detto che ci sia la stessa variazione del Platts. Ultima voce della composizione dei prezzi riguarda il margine lordo, ovvero ciò che è destinato alla distribuzione (le pompe di benzina). Si tratta del 7,8% del prezzo per la benzina (12,5% per il diesel). Un dato medio visto che il prezzo finale, dalla liberalizzazione del 1991, varia da città a città.
Volendo appoggiarsi ai numeri del ministero della Transizione ecologica riportati dall’Unem, un anno fa (confronto 7 marzo 2021/22) il prezzo industriale era di 0,542 euro al litro per la benzina, mentre ora è di 0,873 euro. Anche per questo ieri la stessa Unem, l’associazione che rappresenta le aziende di raffinazione stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi, ha voluto chiarire che «la guerra in Ucraina sta provocando forti tensioni anche per la filiera della raffinazione e distribuzione, che sta vivendo una forte crisi finanziaria a causa degli alti costi di approvvigionamento e dei costi dell’energia». L’Italia, spiega Unem, ha «un sistema di raffinazione flessibile che consente di lavorare diverse tipologie di greggio provenienti da varie aree del mondo». Ma rinunciare al greggio russo significa rimpiazzarlo con qualità che costano di più.
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