Colle, Letta teme agguati dem. Di Maio: non snobbare il Cav

Se di buon mattino il ministro dem del Lavoro Andrea Orlando sente il bisogno di assicurare che «il Pd non voterà Berlusconi» per il Colle, e a sera il ministro grillino degli Esteri Di Maio invita a «non sottovalutare la presa di Berlusconi sul Parlamento» e sente «il bisogno di dirgli» che «rischia una doccia gelata», per non parlare delle petizioni anti-Cav lanciate dal Fatto quotidiano, una ragione c’è.

Ed è che, alla vigilia delle votazioni per il Colle, anche i più restii cominciano a temere che nel caos politico della maggioranza il leader di Forza Italia cominci ad assumere una centralità che in pochi si aspettavano.

Sta di fatto che nel Pd è scattato l’allarme rosso, tanto da costringere il segretario a lanciare un avvertimento pesante: «Se l’elezione del prossimo presidente non fosse a larga maggioranza, la più larga che ci sia, il governo cadrebbe immediatamente». Un avvertimento rivolto innanzitutto ai propri parlamentari, per mettere in chiaro che se si coagulasse una maggioranza trasversale tra centrodestra, Iv e franchi tiratori Pd su un candidato che non abbia l’imprimatur dei dem e di M5s, la spaccatura della maggioranza porterebbe inevitabilmente proprio a quelle elezioni anticipate che tutti i parlamentari vogliono ad ogni costo evitare.

Un modo per ribaltare la vulgata fin qui in voga, ossia: se si eleggesse Draghi al Colle, la maggioranza anomala che sostiene il governo, privata del suo perno, collasserebbe. E si precipiterebbe al voto anticipato. Bene, dice Letta: il voto sarà inevitabile anche se la maggioranza si spaccasse su qualunque altro candidato. A cominciare ovviamente da Berlusconi, che – sono convinti nel Pd – ha un piano A che lo diverte assai (farsi eleggere), ma anche un piano B che lo metterebbe comunque al centro dei giochi. «Il Cavaliere – spiega un esponente dem – potrebbe misurarsi nelle prime tre votazioni a maggioranza qualificata: se riuscisse, tra centrodestra e voti trasversali, ad assestarsi intorno ai 400 voti, dal quarto scrutinio in poi potrebbe fare il kingmaker». Su nomi come quello di Casini o di Amato, che possono prendere voti sia a destra che a sinistra. Del resto, se i franchi tiratori giallorossi sono stati 35 sul ddl Zan, figuriamoci quanti potrebbero diventare in una partita così importante. Con una conseguenza per Letta: «È chiaro che se si elegge un presidente contro le sue indicazioni, si deve dimettere un minuto dopo», dice un parlamentare.

C’è un solo argine a questo scenario, ha ragionato Letta con i suoi: eleggere Mario Draghi al primo scrutinio, con un’intesa di tutta la maggioranza (più Meloni, ansiosissima di sedere al tavolo che conta). Per questo ha rotto il silenzio sul Colle che si era auto-imposto «fino a gennaio», avvertendo i suoi restii parlamentari che il temutissimo voto anticipato ci sarà con certezza se il prossimo presidente venisse eletto con un voto trasversale che spacchi la maggioranza di governo, perché Draghi ne prenderebbe atto e saluterebbe (senza rimpianti) Palazzo Chigi. Una mossa della disperazione dettata dalla mancanza di strategie alternative, dicono nella fronda Pd, mentre pubblicamente si mettono subito di traverso coloro che, come Carlo Calenda e Andrea Marcucci, invitano Letta a blindare Draghi alla guida del governo. Ben sapendo che, con M5s diviso tra Di Maio e Conte, e senza una coalizione ne in grado di fronteggiare il centrodestra – il voto per il Pd è a alto rischio.


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