Un barlume di speranza emerge dai tavoli egiziani, dove il primo faccia a faccia tra mediatori e Hamas si è chiuso su note incoraggianti, alimentando l’ottimismo di Washington per un cessate il fuoco duraturo e uno scambio di ostaggi che potrebbe spezzare l’impasse, mentre le bombe continuano a cadere su Gaza.
I negoziati, avviati al Cairo e destinati a proseguire martedì a Sharm El-Sheikh, vedono Hamas e i facilitatori – egiziani e qatarini – lavorare su una proposta americana per un’intesa indiretta con Israele, focalizzata su prigionieri e tregua. Una delegazione israeliana di medio livello è atterrata lunedì nella località sul Mar Rosso, composta dal vicedirettore del Mossad, il vice di Shin Bet, il coordinatore ostaggi Gal Hirsch, il generale Nitzan Alon, il consigliere Ophir Falk, il capo Cogat Rassan Alian e ufficiali IdF. Per Hamas, resta incerto l’arrivo del capo negoziatore Khalil al-Hayya, partito dal Cairo.
Donald Trump ha salutato i progressi con entusiasmo serale, rivelando che Hamas ha accettato “cose molto importanti” e prevedendo un accordo imminente. Ha smentito voci di attriti con Benjamin Netanyahu, definendo il dialogo “molto positivo”. In un aside, ha liquidato Greta Thunberg come affetta da “problemi di gestione della rabbia”, suggerendo un consulto medico per la giovane attivista, in risposta a domande sulla flottiglia per Gaza.
Mentre i mediatori spingono per accelerare, un funzionario di Hamas ha confidato a Al Araby Al Jadeed la disponibilità a distanziarsi dal ramo gazano del gruppo – notizia non verificata – e ha posto come priorità il rilascio di sette detenuti anziani noti come “big seven”, tra cui Marwan Barghouti con cinque ergastoli e Nayef Barghouti con la pena palestinese più lunga al mondo. Netanyahu ha già tagliato corto con il ministro Itamar Ben Gvir: esclusi Barghouti e i miliziani Nukhba coinvolti nei massacri del 7 ottobre 2023. Israele prepara una lista di 250 ergastolani su 280 detenuti, più 1.700 arrestati a Gaza post-attacco, come da piano Trump.
I big del negoziato – l’inviato Usa Steve Witkoff, il genero di Trump Jared Kushner, Ron Dermer e il capo Mossad David Barnea – entreranno in scena nei prossimi giorni, una volta superate le questioni tecniche. L’intelligence egiziana supervisionerà, con un incontro finale previsto entro fine settimana. Un portavoce americano ha ribadito a Sky News Arabia che la liberazione degli ostaggi è il fulcro, capace di sbloccare il resto.
A Gaza, però, l’attesa non ferma l’offensiva: l’IdF ha colpito cellule terroristiche pronte ad attaccare, mantenendo il ritmo dei raid. Fonti israeliane e di Washington trapelano ottimismo per un’intesa sugli ostaggi già domenica, ma la delicatezza del momento – con dettagli secretati – lascia trapelare solo briciole, in un processo che Trump vuole chiudere in fretta per non dissipare slancio prezioso. Se il primo round è stato un passo avanti, il vero test arriverà con i numeri concreti, in un conflitto che reclama non solo parole, ma azioni capaci di ridisegnare confini e destini.