Colpo alla ‘ndrangheta: 116 persone fermate in Calabria

Operazione dei carabinieri del Ros nella Locride: nel mirino i vertici delle più importanti cosche del ‘mandamento’ ionico e della città di Reggio Calabria.

Oltre mille carabinieri in azione, 116 arresti, 24 clan storici messi in ginocchio. Sono questi i numeri della maxioperazione della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che questa notte ha portato al fermo di elementi di vertice, capi e gregari di ventuno famiglie del “mandamento jonico”, più i Ficara- Latella e i Serraino di Reggio, e i clan di Sinopoli, piccolo paese aspromontano considerato strategico perché storica “cerniera” fra la ‘ndrangheta di città e quella della Piana di Gioia Tauro. Tutti quanti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, trasferimento fraudolento di valori, truffa ed altri reati, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’organizzazione mafiosa.

L’ALA MILITARE DELLE COSCHE – Un’indagine vasta, scaturita dall’unione di  diversi filoni investigativi curati dal Ros, dal nucleo investigativo di Locri, dalle compagnie di Locri e Bianco, con il contributo del Reparto operativo di Reggio Calabria, che ha permesso di scattare una fotografia dinamica dell’ala operativa e “militare” delle organizzazioni di ‘ndrangheta attive non solo su un’ampia porzione del territorio calabrese, ma anche al Nord Italia e all’estero.

“QUA LO STATO SONO IO” – Fra gli arrestati ci sono anche uomini del clan Morabito, fra le più importanti e storiche famiglie della Jonica, per lungo tempo guidato da Peppe Morabito, conosciuto come  “il Tiradritto”, considerato fra le più brillanti e feroci menti criminali della Locride. Un’eredità che il figlio Rocco, già da tempo in carcere, ostenta con orgoglio e rivendica con gli affiliati. “Lo Stato qua sono io – afferma intercettato – La mafia originale, non quella scadente”.

“Grazie ad un lavoro certosino del Ros, sono state riprese e valorizzate diverse indagini del passato che ci hanno permesso di far luce sulla struttura di diversi clan operanti su un territorio molto vasto e strategico per la ‘ndrangheta”, spiega il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. I nuovi approfondimenti investigativi hanno permesso di identificare gli autori di estorsioni, danneggiamenti e infiltrazioni in appalti pubblici e lavori privati, sintomatici di un capillare e asfissiante controllo del territorio da parte delle cosche. Fatta eccezione alcuni ex amministratori di Natile di Careri, in carica fino al 2012, spiega il procuratore Cafiero de Raho, questa indagine non arriva a toccare i rapporti del clan con la politica. “Almeno per adesso”, dice il magistrato.

STRUTTURA E TRIBUNALI – L’inchiesta ha però permesso di far emergere nuovi e importanti elementi sulla strutturazione della ‘ndrangheta, organizzazione dinamica e in continua evoluzione, sempre in grado di dotarsi di nuove “cariche” e livelli organizzativi per sostituire e superare quelli che inchieste e processi mettono a nudo. Intercettazioni telefoniche e ambientali hanno permesso di svelare anche il meccanismo di funzionamento di una dei “tribunali di ‘ndrangheta”, antica “istituzione” dei clan di cui si trovano tracce anche negli antichi codici dell’Ottocento, oggi come allora chiamati a giudicare quegli affiliati sospettati di violazioni delle regole del sodalizio criminale ed a sanare conflitti e faide fra ‘ndrine diverse. In generale, spiegano gli investigatori, l’inchiesta non fa che confermare “la pericolosità della ‘ndrangheta quale struttura unitaria e segreta, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice, che nella provincia di Reggio Calabria trova tuttora il suo prioritario ambito operativo decisionale”. La Repubblica