Colpo di Stato militare in Italia, il sondaggio: lo vorrebbe il 70% della popolazione

Il sito scenareconomici.it ha proposto, sia pure con un linguaggio compito, smorzato, come se porgesse un fiore, una domanda che in soldoni suona così, e non è affatto delicata: vi piacerebbe un bel golpe militare, nella consapevolezza che il governo Gentiloni si regge sul consenso di una minoranza e non è stato eletto da nessuno? Applaudireste un atto di forza possibilmente senza sangue che rimedi al disastro attuale e al vuoto di qualsiasi capacità del governo di difendere gli interessi italiani? La risposta è stata a stragrande maggioranza un bel «sì». Siamo circa al 71 per cento di consensi attivi. Solo un 8 per cento andrebbe in piazza a fermare i carri armati come a Istanbul il luglio scorso. Questo sentimento di stampo latinoamericano, conviene precisarlo subito, non attraversa l’esercito, non agita i carabinieri. Questa simpatia per el pronunciamento (sinonimo di colpo di Stato) è riscontrabile in settori la cui consistenza numerica non è ben chiara, ma che di certo è figlia dell’esasperazione che non riesce a trovare collocazione politica democratica.

Bisogna fare una bella tara. Il sito è di orientamento sovranista-populista per sua stessa definizione. Il campione non è scientificamente selezionato. Però in Italia non si ha memoria che pubblicamente si ponga questa domanda e soprattutto che le risposte siano positive.

I PARÀ ALLA RAI
Insomma, c’è davvero voglia di golpe militare? Di qualche generalone medagliato o colonnello pettoruto che ribalti il governo, entri pistola in pugno a Montecitorio, mandi i genieri a sigillare con il silicone le stanze del Quirinale in cui è mummificato il saggio Mattarella, invii i paracadutisti a occupare la Rai e Mediaset, eccetera? Le cifre spaventano. Ci siamo posti il problema se dar peso a questo sondaggio non sia a sua volta una maniera per accreditare questa soluzione di certo inaccettabile. La risposta è che questa notizia c’è tutta. Non è certo tenendo nascosto, o banalizzando come fenomeno folkloristico, questo tipo di pulsioni che li si esorcizza. Il quadro italiano – eccettuata l’inflazione – è quello da Repubblica di Weimar: impotenza assoluta dei partiti di dare un governo capace di affrontare sia la crisi economica sia la questione dell’identità nazionale calpestata dagli Stati dominanti e vittoriosi dell’Europa dopo la Grande Guerra.

Di certo tra i 27 governi della Unione Europea, ma mettiamoci pure la Svizzera, la Norvegia e persino la Serbia e l’Albania che non fanno parte della congrega aggregata a Bruxelles, quello italiano è il più lontano dal dare garanzie di resistenza all’invasione dei migranti e di capacità di tutela dei nostri interessi di fronte non solo ai grossi e grassi Paesi del Nord Europa, ma anche di Spagna Slovenia, e persino Libia ed Egitto. Siamo alla mercé. La tenuta di questo governo presso l’opinione pubblica (non c’entrano destra o sinistra) è garantita per ora da Marco Minniti, che anche ieri ha denunciato l’assurdità di una salvezza internazionale dei migranti, un lavoro in cui tutti sono concordi, salvo poi concordemente scaricarli tutti da noi.

FALLIMENTI
Questa impotenza ovviamente chiama il desiderio della forza, che Paesi sicuramente democratici come l’Austria hanno palesato dinanzi alla certezza della nostra nullaggine. In questi i giorni il flusso di notizie screditanti le istituzioni democratiche ha superato la soglia della sopportabilità. Non ne è coinvolto solo Gentiloni con la sua squadra, ne sono travolte le varie assise rappresentative. Il sapere che a Strasburgo si decideva di una questione decisiva per l’Europa, qual è la migrazione, ed era presente solo il 4 per cento degli europarlamentari fa girare le scatole. In Italia nelle due Camere ci sono stati 504 mutazioni di casacca, e non si riesce a imbastire una legge elettorale seria. I nostri deputati e senatori che ci regalano questi fallimenti sono di gran lunga i più pagati d’Europa. In compenso i dottorandi, che sarebbero la crème destinata a rivoluzionare il Paese, sono i meno pagati del mondo: mille euro al mese contro i 4mila della Svizzera e – ad esempio – i 1500 della Spagna. Poi uno si chiede perché appena possono scappano. Le banche sono finanziate con i soldi dei contribuenti. I quali dopo essere stati defraudati dalle medesimi istituti ora sono costretti a ripararne i danni, mentre chi le ha distrutte sottraendo miliardi di miliardi alla collettività ottiene che non se ne conosca il nome.

Se non si comunica qualcosa di positivo, il rischio che finisca male esiste. Non crediamo al golpe militare. L’ultimo che fu tentato, nel 1970, dal mitico principe Borghese prevedeva l’impiego massiccio delle Guardie forestali: ad ogni buon conto non ci sono più, sono state assorbite dai carabinieri. E i nostri militari sono quasi tutti in giro per il mondo ad evitare i golpe degli altri, piuttosto che pensare a farne uno da noi.

Attenzione però. Di certo pensare a un atto di forza per sistemare le cose, sia pure provvisoriamente e senza cannonate e lager, e auspicarlo, anche se nella forma anonima di un sondaggio, non è più un tabù. Sarà bene che governo e partiti pongano rimedio, non con la retorica delle promesse ma con l’efficacia dei fatti.

di Renato Farina, Libero