
(ANSA) – ROMA, 24 MAR – Assolto per non aver commesso il
fatto. Si è concluso così per Giuseppe Graviano il processo,
davanti alla Corte d’appello di Ancona, per il coltello
ritrovato nella cella del carcere di Ascoli Piceno dove era
detenuto al 41bis a giugno del 2017. Si trattava di una lama
rudimentale ottenuta da una lattina e che secondo la
testimonianza dell’agente che l’aveva scoperta era nascosta
all’interno del tavolo. A seguito del ritrovamento il boss
mafioso di Brancaccio era stato trasferito nel carcere di Terni.
Con la sentenza la Corte d’appello ha così ribaltato il
giudizio di primo grado che si era concluso con la condanna di
Graviano a 6 mesi di arresto e a mille euro di ammenda. Un esito
a cui si è giunti con la riapertura dell’inchiesta, disposta dai
giudici su istanza della difesa. Decisivo il test del dna a cui il boss si è sottoposto,
rinunciando alla prescrizione, come riferisce il suo legale
Federico Vianelli. La perizia ha escluso che sull’arma vi
fossero tracce genetiche riconducibili a lui. I giudici di
appello hanno quindi disposto l’invio degli atti alla procura
che ora dovrà accertare a chi appartenesse il coltello.
La decisione arriva alla vigilia di un’altra pronuncia
importante per il boss. Domani entreranno in camera di consiglio
i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria titolari del
processo sulla “‘Ndrangheta stragista” e non è escluso che la
sentenza arrivi in giornata. Con Graviano è imputato Rocco
Santo Filippone, presunto affiliato alla cosca Piromalli di
Gioia Tauro: entrambi in primo grado sono stati condannati all’ergastolo quali presunti mandanti dell’assassinio dei
carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto l 18
gennaio del 1994 all’altezza dello svincolo di Scilla
dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (ANSA).
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