Così la Commissione consiliare d’inchiesta su presunte responsabilità politiche o amministrative legate alla vicenda Cassa di risparmio giudica “le azioni di Gabriele Gatti nelle sue funzioni di segretario di Stato per le Finanze”. E sempre la Commissione, “di fronte a un comportamento comunque passivo”, ritiene “neutra la posizione del segretario Antonella Mularoni rispetto a quella di Gatti”.
Così nella relazione finale, divulgata ieri per la prima volta in Consiglio Grande e Generale, e che riguarda l’esito del lavoro di dieci consiglieri, guidati da Gerardo Giovagnoli, Psd, nominati a fare luce sulle “colpe” della politica nell’affare Cassa-Delta.
La commissione è stata nominata il 22 luglio del 2014, si è riunita 80 volte, a “partire dal 1° agosto, ha effettuato 45 audizioni”. Fra i suoi compiti, in dettaglio, quello di verificare il “ruolo assunto dai segretari di Stato, dall’Autorità di vigilanza e da eventuali altri esponenti della politica nella vendita da parte di Sopaf a Cassa di Risparmio di San Marino delle azioni di Delta e all’eventuale pagamento di un sovrapprezzo”.
Nel capitolo “conclusioni e valutazioni” della relazione di 104 pagine si legge quindi che “il ruolo giocato da Gatti è quello di un ‘mediatore privato’ piuttosto che di un ‘mediatore politico’”. Il democristiano “non solo si fa portavoce di un messaggio, ma si propone quale organizzatore di incontri tra le parti, partecipa alla contrattazione snocciolando cifre e dettagli di pagamento su piazze estere”. Lo scudocrociato ha “confermato davanti alla commissione che la sua attività fu mossa dalla ‘ragione di stato’, ovvero dall’importanza che la risoluzione della controversia giudiziaria tra Sopaf e Cassa rivestiva per il recupero dei rapporti con il governo italiano”.
Ma il gruppo di parlamentari sammarinesi chiamato a fare luce sulle responsabilità non è convinto. E nel suo “giudizio politico” riporta che “le suddette motivazioni non giustificano pienamente l’operato del segretario di Stato Gatti nelle sue funzioni istituzionali”. Al centro dell’attenzione c’è una vicenda sulla quale è scesa l’ombra “di una tangente o di un sovrapprezzo non lecito” calato nel contesto di alcuni “colloqui” per “la vendita delle azioni di Delta di proprietà di Sopaf a Cassa”.
Agli incontri interessati, in alcuni casi, era presente anche Antonella Mularoni, allora inquilina di Palazzo Begni e oggi guida del dicastero al Territorio. L’esponente di Alleanza popolare “non chiese spiegazioni né in quel momento né successivamente al collega di governo o ad altri” in merito a quanto sarebbe stato messo sul ”piatto”, nonostante “ritenesse la vicenda di interesse nazionale”, si legge nella relazione.
Il “Boccone amaro”
la Commissione ha analizzato anche la questione specifica della vendita delle azioni di Sopaf in Delta, che si rivelò per Carisp, certamente “un contratto vessatorio dal punto di vista economico”, e fu un “boccone amaro da ingoiare”, date le condizioni poste “dai Commissari, quelle di Banca d’italia e le cause giudiziarie innescate che, aldilà del loro esito finale, avrebbero inibito l’arrivo di possibili compratori di Delta”. La Commissione consiliare d’inchiesta nella relazione conclusiva (le valutazioni finali sono integralmente proposte alle pagine 4 e 5), interviene anche sulla dubbia operazione di acquisto delle quote Delta in capo a Sopaf, in cui però si chiarisce che “emerge un ruolo molto meno presente della politica”. la partita in corso, quando si chiuse l’accordo per l’acquisto delle quote, a fine luglio 2009, vedeva protagonisti piuttosto direttamente l’istituto e il suo presidente Leone Sibani, i quali furono in un certo modo costretti, secondo i commissari, ad accettare le condizioni sfavorevoli dettate da Sopaf nella trattativa. “è evidente – riferisce infatti la relazione – che il prezzo di 55 milioni di euro fosse sproporzionato rispetto al valore del capitale sociale di Delta dopo il commissariamento, sebbene al luglio 2009 permanevano le speranze di una continuità operativa della società”. è inoltre vero, prosegue il testo, che “il costo dell’intera operazione fosse addirittura superiore, 70 milioni di euro, una cifra non lontana dai 75 milioni di euro richiesti a gennaio 2009, di cui 15 milioni di euro per una consulenza che Cassa avrebbe conferito a Sopaf”.
Un incarico, aggiungono i commissari che “in realtà serviva semplicemente per giustificare la differenza di costo tra il valore delle azioni e quanto richiesto da Sopaf per chiudere le controversie giudiziarie”. Anche in quel frangente infatti Sopaf si dimostrò “socio belligerante”, sottolineano i commissari, “non intenzionato a facilitare la strada a Cassa, anzi a trarne il massimo utile possibile essendo in posizione di forza, sapendo che Cassa era in qualche modo obbligata, a differenza di qualche mese prima, a dover scendere a patti con Sopaf”. Quest’ultima infatti insistette nel voler ottenere “un prezzo di vendita non lontano dal valore di carico della partecipazione” e si fece forte del contesto difficile in cui si trovava l”istituto. “Il potere contrattuale di Cassa verso Sopaf e i rischi di un allungamento dei tempi – concludono infatti i commissari – erano due fattori oggettivamente in grado di porre Cassa nella condizione di dover accettare richieste esorbitanti; Sopaf ne era consapevole e fece un”offerta del tipo ‘prendere o lasciare'”.
Poca trasparenza
Per la Commissione inoltre “è da rilevare che il comportamento del Presidente Sibani in riferimento alla consulenza pagata a Sopaf in tranche ma non a lavoro compiuto, appare discutibile sotto l’aspetto della trasparenza e della correttezza”.
I rapporti con la Procura
Nella relazione finale si legge anche che “la Commissione ritiene l’azione di Gabriele Gatti verso la Procura di Forlì come contraria agli interessi di Cassa e della Repubblica di San Marino e richiede una valutazione apposita del Consiglio Grande e Generale sul fatto e il comportamento rappresentati”.
Ma anche l’operato dei vertici Carisp è sotto esame: “Sebbene – scrive la Commissione – sia evidente che l’interazione tra i vertici di Cassa ed i sostituti Procuratori sia da inquadrare in un momento di grande difficoltà e debolezza per la banca e che la ‘trattativa’ di Masi e Sibani sia per il bene di Cassa, ciononostante la Commissione rileva come anomala e non del tutto opportuna la ‘contrattazione’ del contenuto della rogatoria revisionata che ha in seguito provocato il ricorso al Tribunale sammarinese di alcuni dei soggetti passivi della rogatoria, visto che essi furono selezionati per il solo fatto di avere depositato somme superiori a 250mila euro”. Il dibattito avverrà oggi e sono quasi una cinquantina gli iscritti a intervenire.
Ecco il testo relativo alle considerazioni finali della commissione di inchiesta:
La vicenda Delta e le devastanti ripercussioni su Cassa di Risparmio attraverso le indagini giudiziarie che l’hanno colpita, è un capitolo della storia dei tormentati rapporti fra italia e San Marino. la Commissione di inchiesta si è trovata ad affrontare questioni ancora aperte sul versante penale e, quindi, non ancora sottoposte alla lente di ingrandimento della riflessione e dell’indagine critica. Pertanto il lavoro svolto, al di là dei temi specifici indicati nella legge istitutiva dell’inchiesta, rappresenta una prima parziale risposta agli interrogativi e ai dubbi che ci hanno accompagnato negli ultimi anni sul ruolo delle istituzioni italiane e sammarinesi, degli organi di amministrazione societari e di alcuni protagonisti della vicenda. la crisi economica ha sicuramente influenzato tutte le iniziative che sono intervenute nella vicenda Delta. La guerra dichiarata dai grandi paesi ai “paradisi fiscali”, la maggiore attenzione dell’italia nei confronti dell’evasione, il “problema San Marino” rimbalzato come tale davanti alla comunità degli Stati, sono tutti elementi che hanno inciso, più o meno direttamente, nell’offensiva di un grande Paese contro un piccolo Stato attraverso il colpo inferto alla Cassa, istituto di credito simbolo e sostanza della sua economia, finita letteralmente in ginocchio anche a causa di questa vicenda. Mentre da parte italiana i soggetti intervenuti – Ministero dell’Economia e delle Finanze, Banca d’italia, Procura di Forlì, commissari di Delta – hanno fatto quadrato ed agito al riparo dai contraccolpi di carattere diplomatico (come se le questioni non riguardassero i rapporti fra due Stati), da parte sammarinese non si sono viste – almeno nell’immediato – reazioni tali da produrre effetti di qualche rilievo. Era come se un gigantesco senso di colpa dell’intero Paese per un passato da condannare e un presente difficile, quasi da “resa dei conti”, impedisse di rispondere ad una aggressione che oggi appare non occasionale né improvvisata. Il pudore per una ricchezza nata fra le nebbie di un sistema debole dal punto di vista normativo e anche da comportamenti fuori dalle regole, messo in discussione anche dalla comunità internazionale, ha agito da freno sulla legittima pretesa di verificare la competenza di un giudice inquirente a muoversi su un terreno che non era il suo ma che investiva il rapporto fra Stati. E’ stato perfino facile, per i media italiani, rappresentare un Paese come fosse la più grande lavanderia di denaro sporco del mondo. Era come se San Marino dovesse simbolicamente rispondere anche per tutti quei paesi ad economia non trasparente di fronte ai quali l’italia evitava con cura di “fare la voce grossa”. Non c’è dubbio che, a partire dal 2007, si sia scatenato – all’interno di Delta – uno scontro di potere fra i “fondatori”, Cassa ed Estuari, e gli altri soci, scontro che portò Sopaf a non sottoscrivere l’aumento di capitale e all’esclusione dagli organi di amministrazione del Gruppo.
Da quel momento è iniziata un’offensiva senza quartiere contro Cassa attraverso addebiti di natura civile e amministrativa, con il concorso di soggetti diversi (l’Avv. Guido Rossi, in primis), fino a trovare il terminale più efficace e devastante nelle iniziative della Procura di Forlì. Il centro nevralgico del “teorema Di Vizio” è stato l’accusa di riciclaggio che discendeva da una personale ed errata convinzione che San Marino, prima ancora che Cassa, fosse una roccaforte di quel tipo di reato e poi, nello specifico, dalla dominanza di Cassa in Delta e dal sequestro del furgone portavalori con i 2,6 milioni di euro di contanti prelevati dal Monte dei Paschi per conto di Cassa, presso la Filiale di Banca d’Italia di Forlì.
Per Di Vizio, sulla base delle nuove direttive europee, si dovevano usare determinati codici per le operazioni con soggetti finanziari sammarinesi. Ma fra Italia e San Marino erano in vigore specifici accordi, per altro riconosciuti dalla sentenza con cui la Cassazione, pochi mesi dopo (dicembre 2008), diede ragione a Cassa rispetto al sequestro del portavalori. l’inchiesta giudiziaria è partita dunque dall’assunto che le banche sammarinesi facevano riciclaggio solo perché nelle operazioni con la controparte italiana venivano usati gli stessi codici degli operatori italiani e non quelli riservati alle banche extracomunitarie.
Ma l’attribuzione degli stessi codici italiani ai soggetti sammarinesi era decisione delle autorità italiane (Banca d’italia) come stabiliva la Convenzione del 1991 che la Procura di Forlì ritenne, di fatto, superata. Anche la posizione di Banca d’italia si è appiattita sulle iniziative della Procura. Delta era stata vigilata dalle autorità ispettive dell’istituto di via Koch dalla sua nascita ed ogni passaggio di quote era stato autorizzato, così come l’acquisizione di Sedicibanca ed il riconoscimento ad operare come gruppo bancario. Poi, con l’indagine di Di Vizio, e gli attacchi giornalistici sulla mancata vigilanza al Gruppo Delta, la debolezza di Banca d’italia ha lasciato alla sola Procura l’interpretazione accusatoria sul riciclaggio che si fondava, per il PM, sull’approvvigionamento di denaro contante da parte di Cassa proprio da un conto di Banca d’italia. Ed è sorprendente che immediatamente dopo la sentenza della Corte di Cassazione che accolse il ricorso di Cassa sul sequestro del furgone portavalori (“non si ritengono sussistenti indizi di riciclaggio di somme provenienti da attività criminose…”), Di Vizio richiese, il 22 dicembre 2008, misure cautelari per Ghiotti, Fantini, Stanzani, Simoni e Ghini – che saranno eseguite il 3 maggio 2009 – quasi come ripicca dopo l’umiliazione subita con la sentenza della Suprema Corte. Tutto ciò sotto gli occhi di Banca d’italia che, a sua volta, depositò in Procura il 23 aprile 2009 l’esito della sua ispezione in Delta (era iniziata il 4 settembre 2008) in cui si affermava: “in relazione alle irregolarità riscontrate, questo ufficio ha avviato il procedimento per l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie”. Se le irregolarità dovevano comportare sanzioni amministrative e pecuniarie, significa che i successivi arresti furono motivati da un accusa di riciclaggio decisamente forzata? il dubbio è legittimo. Ma il 4 maggio la conferenza stampa della Procura apostrofò addirittura gli arrestati come criminali dediti al riciclaggio mentre Banca d’italia, attraverso un comunicato, si dichiarava “parte offesa”.
L’offensiva messa in atto dalla Procura di Forlì ha potuto disporre di mezzi inconsueti ed eccezionali e si è giovata dell’appoggio incondizionato dei media. le azzardate dichiarazioni del Capo della Procura Manfredi, secondo cui era fondatissimo il sospetto che le movimentazioni di denaro di Cassa nascondessero proventi della criminalità organizzata (tesi mai comprovata), furono riprese ed enfatizzate dalla stampa nazionale italiana e dalla giornalista di Report Milena Gabanelli che, fra altre omissioni e inesattezze, comunicò la sciocchezza che le banche sammarinesi avessero raccolto 14 miliardi di euro in un solo anno solare.
San Marino non poteva reagire di fronte ad una realtà – quella dell’informazione italiana – di dimensioni per lei stratosferiche. Quanto è stato detto non intende minimizzare gli effetti distorsivi che il “sistema San Marino” ha prodotto e che hanno avuto sicuramente un peso sull’azione della Procura di Forlì, del MEF e di Banca d’Italia; né le responsabilità della politica e di alcuni governi del nostro Paese né quelle degli amministratori di Cassa per gli errori commessi, la sottovalutazione di certe iniziative e comportamenti, le difficoltà di adeguamento a un nuovo sistema sottoposto a vincoli e controlli un tempo quasi del tutto inesistenti.
L’errore più grave di Cassa fu la scelta di autorizzare l’erogazione di finanziamenti a Delta fino a due miliardi e settecento milioni di euro, trasferendo ad essa l’intera raccolta del risparmio con la conseguenza, oltre ai rischi di default, che Delta finì per controllare Cassa e non viceversa come sostenevano Di Vizio e Banca d’Italia.
Sul rapporto controllori-controllati: Ai fini della indagine della Commissione assume rilievo l’ispezione che l’Autorità di Vigilanza ha portato avanti in Cassa di Risparmio dall’estate del 2007 sino al gennaio del 2008. Molteplici furono gli atti formali con cui i dirigenti di Cassa criticarono aspramente il lavoro della Vigilanza e, aspetto di assoluta importanza, non venne data alcun tipo di attuazione ai suggerimenti che erano stati avanzati dal gruppo ispettivo di Banca Centrale per garantire a Cassa una condizione di maggiore sicurezza finanziaria e patrimoniale vista l’esorbitante esposizione esistente verso il Gruppo Delta. Da questa vicenda emerge quanto – almeno in quella fase – fosse arduo contemperare le “abitudini” dei soggetti controllati con l’esigenza di agire dei controllori.
Purtroppo, dalla ricostruzione dei fatti appa- re sin troppo chiaro che le autorità politiche non hanno sostenuto in maniera adeguata la posizione dell’Autorità di Vigilanza. Di fronte ai rilievi contenuti nella relazione conclusiva dell’attività ispettiva (estate 2007 – gennaio 2008), l’organo politico competente – il Comitato per il Credito e il Risparmio – non interviene nemmeno per provare a persuadere il management di Cassa a tenere in debita considerazione le osservazioni e i suggerimenti avanzati. Questo atteggiamento passivo degli allora membri del CCR viene fortemente criticato da parte della Commissione. A proposito del CCR, la Commissione intende evidenziarne l’insufficiente incisività rispetto alle funzioni e alle competenze che gli sono state attribuite dall’articolo 48 della Legge n. 96/2005 (Statuto della Banca Centrale).
La Commissione ritiene necessario ed urgente promuovere una riflessione accurata sulle funzioni e sulla competenze che devono essere attribuite al CCR. Da ultimo è indispensabile fare attenzione ad una questione di sistema che a più riprese emerge nell’ambito dei lavori della Commissione: la composizione dei Consigli di Amministrazione di Cassa e della Fondazione San Marino.
Troppo spesso si è evidenziata, con qualche eccezione, la scarsa competenza e la mancanza di preparazione dei membri di questi organi amministrativi.
Se ciò poteva essere giustificato per la Fondazione dati i suoi variegati scopi sociali, diventa del tutto inaccettabile per il CdA di Cassa. E’ infatti proprio la ridotta presenza di professionalità di livello tra i Consiglieri di Amministrazione ad aver consentito la gestione da “uomo solo al comando” prima con Mario Fantini e poi con Leone Sibani.
La Commissione chiede che venga prestata la massima attenzione nella scelta degli amministratori.
È utile superare la visione clientelare che fino ad ora ha portato alla nomina basata sull’estrazione politica per dare spazio al reclutamento di professionisti dotati di valore e prestigio oggettivamente riconosciuti.
Sugli ultimi avvenimenti giudiziari: il 13 febbraio 2015 è stata data notizia dell’interruzione del processo di Forlì giunto alla fase dibattimentale, in quanto sono state accolte le eccezioni delle difese rispetto all’incompetenza territoriale del Tribunale. Ciò significa che entrambe le Procure dichiarate competenti dovranno riformulare l’accusa e l’eventuale richiesta di processo. E’ questo un fatto estremamente significativo, che in sostanza annulla cinque anni di lavoro “sterminato”, in cui la Procura di Forlì ha messo in campo cospicue risorse umane ed economiche. Una decisione che rende molto più vicina la prescrizione dei reati contestati e perciò anche più difficile la completa ricostruzione delle responsabilità.
Tale nuova situazione pone oggettivamente un grande punto interrogativo sull’attività istruttoria della Procura di Forlì. Rimane evidente, purtroppo, che la maggior parte degli effetti determinati dall’attacco a San Marino e realizzati in particolare nella privazione delle libertà personali e nella compromissione della vita professionale (se non della vita stessa) di tante persone e nella distruzione del più grande investimento fatto da una società sammarinese in Italia, siano irreversibili.
La Commissione esprime l’auspicio che le Istituzioni della Repubblica di San Marino nel loro complesso sappiano, da ora in avanti, “fare sistema” nella difesa dello Stato, a partire dai nuovi processi di Rimini e Bologna dove si auspica che siano rappresentate l’esigenza di verità se non il risarcimento dei danni reputazionali ed economici che Cassa in primis e la Repubblica contestualmente hanno subito.
Presidente Gerardo Giovagnoli (Psd), Mario Lazzaro Venturini (Ap), Roberto Ciavatta (Rete), Simone Celli (Ps), Augusto Michelotti (Su), Franco Santi (Civico 10), Lorella Stefanelli (Pdcs Ns), William Giardi (Upr), Giovanni Francesco Ugolini (Pdcs Ns) Denise Bronzetti (Indipendente). San Marino, 24 Febbraio 2015.
Fonte: San Marino Oggi