La candidata di FdI ha chiuso in anticipo la campagna elettorale a Tor Bella Monaca: «Gioco sempre per vincere». Oggi M5S a piazza del Popolo, Marchini a Ostia con Berlusconi, Giachetti in scooter, Fassina a Centocelle
Intorno, i palazzoni che Alemanno voleva abbattere e ricostruire. E, dai balconi, spunta qua e là una bandiera tricolore: la più grande, penzola giù da un terrazzo condominiale. La piazza scelta, largo Gennaro Boltri, è piccolina, un giardino che i militanti di FdI hanno ripulito raccogliendo sacchi e sacchi di spazzatura.
Giorgia Meloni gioca d’anticipo e, senza aspettare oggi (quando Giachetti sarà in giro per dieci piazze col suo scooter, Marchini ad Ostia con Silvio Berlusconi, Raggi a piazza del Popolo con Dario Fo e Claudio Santamaria, Fassina a Centocelle) chiude la sua campagna elettorale in periferia, a Tor Bella Monaca, in uno di quei quartieri dove soffia più forte il vento di Cinque Stelle. L’idea è quella di una festa di popolo, con l’esibizione di Kung Fu, la presenza dell’unica squadra di calcio femminile, gli stand con le «eccellenze» di quartiere, la riproduzione di statue e sculture per portare «il bello in periferia».
Palloncini colorati («qui si vola alto», lo slogan), l’alternarsi sul palco dei rappresentanti delle liste alleate (Irene Pivetti della Lega, Giuseppe Cossiga per i centristi, Turchese Baracchi per la civica, Maurizio Irti per il Partito liberale), quelli di FdI (tipo Fabio Rampelli) che scaldano il migliaio di persone accorse.
Giorgia è in camicia pre-maman bianca, il microfonino all’orecchio, dei foglietti per ricordarsi i punti da toccare. Prima di salire sul palco lancia messaggi: «Se mi basta arrivare davanti a Marchini? Io gioco sempre per vincere». E poi: «Purtroppo, o per fortuna, la gente non segue le indicazioni dei partiti. Decidono con la loro testa. L’ho già detto, se vado al ballottaggio non faccio apparentamenti».
Non risparmia battute e frecciate: «Noi non abbiamo padroni e questo che porto non è un auricolare, non c’è nessun Davide Casaleggio collegato dall’altra parte che vaglia le mie decisioni». E il premier? Renzi, l’altra sera, aveva ironizzato: «Solidarietà alla Meloni, che ha Salvini alleato». Lei replica: «Solidarietà a Giachetti, che si porta dietro questo cialtrone». Angelino Alfano diventa «Caronte, il traghettatore di migranti», Berlusconi non viene mai nominato (ma neppure attaccato), Marchini solo per evocazione: «Ci sono candidati che, per venire in periferia, lasciano una macchina e ne prendono un’altra». E poi il programma: la differenziata al 75%, le «zone franche» detassate, stop alle «107 occupazioni abusive», l’ormai famoso «se sei nomade devi nomadare» per i rom (Meloni scherza: «Se c’è petaloso, va bene anche nomadare»). La prima cosa da sindaco? «Pulisco la città. Ma poi, chi sporca paga o pulisce con le sue manine».
A Tor Bella, poco più in là, ci sono anche Marchini (in teatro con Michele Placido) e Ignazio Marino che va a sostenere l’ex minisindaco Marco Scipioni, espulso dal Pd. Il «marziano» deve decidere per chi votare: «La Raggi o Fassina. Giachetti scelto solo perché risponde al capo». Per il piddino, l’appoggio (dopo quello di Bersani, Renzi, Rutelli) anche di Walter Veltroni, che torna «per la prima volta a parlare di Roma». L’ex sindaco è netto: «Non si può sbagliare scelta e starsene a casa sarebbe un suicidio. Al Campidoglio non si fa apprendistato, serve una persona che abbia esperienza di governo». E se per Giachetti si muovono i big del partito, è segno che qualcosa – nelle ultime settimane – è cambiato.
Corriere.it