C’è una parte dell’economia reale che lavora in silenzio, senza apparati comunicativi, senza conferenze stampa, senza reti di potere: quella degli artigiani. Muratori, idraulici, elettricisti, falegnami, piastrellisti, fabbri. Sono la spina dorsale della San Marino produttiva, quella che costruisce, ripara, mantiene in vita ogni giorno il paese. Eppure, proprio loro rischiano di essere spazzati via da un accordo che nessuno ha mai votato, che nessuno ha mai davvero spiegato, e che potrebbe cambiare DEFINITIVAMENTE per sempre il nostro sistema economico.

Il trattato di associazione con l’Unione Europea, presentato come opportunità, è in realtà un cavallo di Troia.
Un testo pieno di insidie per il lavoro locale, in particolare per chi vive di competenza tecnica, manualità e presenza sul territorio. L’applicazione della libera prestazione dei servizi porterà, senza dubbio, un’ondata di concorrenza estera difficilissima da contenere, a prescindere il testo dell’accordo. Aziende edili rumene, croate, slovacche, persino singole partite IVA europee, potranno venire a San Marino a lavorare liberamente, senza bisogno di residenza, senza stabilirsi qui. Offriranno prezzi stracciati, guadagneranno e se ne andranno. Tutto legale.
E gli artigiani sammarinesi? Si troveranno stritolati tra due forze: da un lato i piccoli operatori esteri con costi minimi e zero radicamento, dall’altro i grandi gruppi internazionali che, una volta sbloccato il mercato, non guarderanno in faccia nessuno.
Perché è chiaro: l’accordo apre la porta anche ai colossi dell’edilizia e dei servizi. Le multinazionali arriveranno con capitali enormi, know-how, forza contrattuale, promozioni aggressive e politiche di assunzione ciniche, mirate al massimo profitto. Assumeranno chi costa meno. E chi costa meno sono proprio quei lavoratori dell’Est Europa che, grazie all’accordo ma indipendentemente da esso, potranno lavorare anche qui
L’artigiano locale sarà schiacciato. Perderà clienti, reddito, dignità. Molti chiuderanno. E con loro si spegneranno anche mestieri, tradizioni, capacità tramandate da generazioni.
Ma non è tutto.
L’ondata migratoria legata alla mobilità europea aumenterà anche la pressione sul mercato degli affitti, che già ora mostra segni di tensione grazie alle sciagurate concessioni di nuove residenze, atipiche e non, molte delle quali fittizie! I nuovi lavoratori cercheranno alloggi a basso costo. I prezzi saliranno in una spirale assurda: guadagni minori, costi maggiori.
Tutto questo sta per accadere senza che i cittadini siano stati mai coinvolti direttamente. Nessun voto, nessun confronto aperto, solo una narrazione patinata e rassicurante fatta di frasi come “è un passo verso il futuro”, “serve per stare al passo coi tempi”, “non possiamo restare fuori”.
No. Non è così.
Un passo così epocale non può avvenire senza la voce del popolo. Serve un referendum.
Serve un voto chiaro, libero, trasparente, in cui i sammarinesi possano dire se vogliono o no perdere il controllo della loro economia, dei loro settori produttivi, della loro capacità di decidere chi entra e chi lavora in Repubblica.
Perché questo è il punto. Non è solo un trattato commerciale. È una cessione di sovranità. È l’apertura definitiva delle porte a una logica economica che non guarda al bene comune ma al profitto massimo. È la fine del modello sammarinese, quello fatto di piccole imprese, artigiani capaci, famiglie che tramandano mestieri.
Se firmiamo senza un referendum, la responsabilità sarà di chi ha imposto questa scelta dall’alto.
Se ci sarà un referendum, almeno potremo dire di essere stati padroni del nostro destino.
Ti diranno che è tutto a posto, che non cambierà nulla e che tutto è fermato: non lo credere! non sarà così! La posta in gioco è molto alta! E’ il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti.
Vuoi rischiare così tanto?
Marco Severini, direttore GiornaleSM