“Conte in affanno”. Grillini smarriti per l’ex premier che fa la guerra a Letta e Renzi

«In affanno», lo definisce un – fino a prova contraria – compagno di partito come Vincenzo Spadafora. Altri, fuori microfono, usano definizioni più colorite.

Sta di fatto che le ultime mosse di Giuseppe Conte, capo politico dei Cinque Stelle oltre che (illacrimato) ex premier, hanno lasciato disorientati i suoi, per non parlar degli altri. Prima, tramite intervistona alla Stampa per controbattere a quella del leader dem, ha mandato in vacca, come si suol dire con riferimento ai bachi da seta, la proposta di «tavolo di maggioranza» sulla manovra (e in realtà sul Quirinale) lanciata dal suo alleato Enrico Letta, proponendo di mettere all’ordine del giorno una confusa mega-riforma costituzionale da realizzare in un anno. Poi ha stizzosamente rifiutato il confronto tv propostogli da Matteo Renzi sulle «tredici domande» sull’inchiesta Open che il Movimento Cinque Stelle ha rivolto al leader di Italia viva: «Non partecipo a show, parliamo di cose serie», ha affermato colui che si faceva organizzare gli show da un esperto del calibro di Rocco Casalino.

La risposta impietosa di Renzi è arrivata a stretto giro di posta: «Conte è uno che scappa. È l’uomo più veloce a scappare nella storia. Si vede che quando hanno distribuito il coraggio era in quarantena, ha il coraggio del coniglio mannaro». Il capo di Iv sa bene che l’obiettivo grillino (condiviso dal Pd lettiano) è quello di utilizzare le carte dell’inchiesta fiorentina sulla Fondazione Open per screditarlo, indebolirlo e – possibilmente – sottrargli parlamentari alla vigilia del voto sul nuovo capo dello Stato. A intorbidire ulteriormente le acque arriva la «confidenza» dell’azzurro siciliano Miccichè, rilanciata da Repubblica, secondo cui l’ex premier avrebbe garantito appoggio a un’eventuale candidatura di Silvio Berlusconi.

La smentita «netta e inequivocabile» di Italia viva è immediata, come l’accusa agli artefici dell’indiscrezione: «Chi evoca il nome di Renzi lo fa per la propria visibilità. Ciò che Renzi pensa della corsa al Colle lo dirà domenica alla Leopolda». L’indiziato numero uno fa spallucce: «Leggo su Repubblica che Miccichè sa già cosa voterà Iv. Mi scappa da ridere. I nomi buoni per il Colle sono quelli che vengono fuori alla fine, come fu per Mattarella», ossia per il capo dello Stato che lui fece eleggere. Se mai, rilancia, il problema è un altro: «Ho l’impressione che i leader dei partiti più importanti vogliano andare a votare nel 2022, creando un bel patatrac», magari attraverso l’elezione di Draghi al Colle, è il sospetto lanciato su Conte e Letta, la cui proposta di «tavolo per la riforma» viene liquidata come «errore politico: «La manovra riguarda il governo e Draghi la ha già fatta – ricorda – mentre legare il Quirinale a questo è sbagliato». Ma il sospetto di Renzi viene condiviso anche da un colonnello di Luigi Di Maio come Spadafora, che invita Conte ad «ascoltare molto» i suoi, se vuole «essere in grado» di dirigere il partito, compito che ha «sottovalutato» e su cui «è in affanno»: «Stiamo tutti lavorando perché ci riesca», infierisce, ma è bene «abbandonare l’idea di andare al voto anticipato».

I 5 Stelle cavalcano la voce di Repubblica, denunciando un «patto Renzi-Berlusconi». Proprio mentre il loro leader Conte propone allo stesso Cavaliere un «patto per le riforme» così congegnato: «Dalla sfiducia costruttiva alla fiducia a Camere unificate, dalla possibilità del premier di cambiare i ministri alla modifica dei regolamenti parlamentari». Progetto un po’ confuso, fanno notare da Iv: «Con le sue riforme avremmo un Parlamento con tre maggioranze possibili. Ma dove vive?», dice Marco Di Maio. Dal Pd la proposta contiana viene accolta con un gelido silenzio. Ma la cosa che più colpisce è che nessuno la raccolga in casa M5s.


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