
Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, i due amici/nemici. Il primo voleva portare al Colle il capo del Dis Elisabetta Belloni, il secondo no. Chi ne esce sconfitto e ridimensionato è senza dubbio l’ex premier che nella partita per il Quirinale ha recitato il ruolo di comparsa, tutto a scapito della già indebolita popolarità.
“Conte ne esce ridimensionato soprattutto perché non è stato in grado di parlare a nome dell’intero movimento. Pochi minuti dopo il suo endorsment alla Belloni è arrivato lo stop di Luigi Di Maio che controlla una fetta importante del gruppo parlamentare pensastellato. Conte era di fatto quello che avrebbe dovuto dettare la linea sul nuovo pdr e invece l’ha subita”, dice a ilGiornale.it il sondaggista Federico Benini, fondatore di Winpool, che sottolinea: “Stiamo parlando del leader del partito con il più importante gruppo parlamentare e in questa circostanza ha dato prova di non essere il leader di un partito oggi che a livello politico e parlamentare ne esce spappolato”.
Anche secondo Nicola Piepoli “il vincente è Di Maio perché è un aggregatore, una personalità che mette pace tra le parti. Sa che la guerra la vince, chi non la fa. Insomma, è un vero leader in crescita, a differenza di Conte che non riesce a governare il partito”. Conte, paradossalmente, almeno dal punto di vista dei sondaggi, era più amato prima come presidente del Consiglio piuttosto che adesso come leader di partito. Nel giro di un anno, infatti, la sua popolarità si è praticamente dimezzata. Il motivo è semplice e ce lo spiega bene Renato Mannheimer: “Conte, facendo il premier, poteva andare in televisione ogni giorno e aveva il partito tutto dietro di sé. Adesso, invece, ha meno strumenti di comunicazione a disposizione, se non le interviste che gli fanno i giornali (che ormai non legge più nessuno) e quelle che, occasionalmente, gli fanno nelle trasmissioni televisive o nei tiggì”. A tal proposito, gli fa eco il collega Benini: “Il punto più alto della parabola contiana lo abbiamo avuto in piena emergenza pandemica due anni fa. Un fenomeno di impennata di consensi data dalla sovraesposizione mediatica che ha premiato tutti gli amministratori in carica di ogni livello (pensiamo alle vittorie di Zaia, De Luca, Toti ed Emiliano)”. Anche Conte quindi, secondo Benini, ha goduto di questa spinta di consensi “in un contesto in cui le minoranze erano mediaticamente inesistenti” e in cui lui era il “grande padre che si prendeva cura del Paese”.
“Perdendo tale posizione – spiega ancora Benini – Conte diventa un leader di partito come gli altri, con la difficoltà di dover gestire un partito (che lo ha adottato) dilaniato e senza identità e che in 4 anni ha perso il 70% dei suoi elettori. Chiunque nei panni di Conte avrebbe subito la stessa parabola”. Eppure, appena prese le redini del M5S si pensava che il Movimento sarebbe potuto risalire nei sondaggi e arrivare addirittura al 25%. E, invece, attualmente è dato al 13%, soprattutto a causa delle sue divisioni interne. Secondo Piepoli, il M5S non ha una sola anima, ma almeno tre componenti “che non sono completamente fuse tra loro”. “La prima – spiega il noto sondaggista è quella governativa, cioè vedere la situazione dal punto di vista dell’opinione pubblica e del governo (Conte). La seconda è la componente anarchica che ha trovato una sua particolare resilienza a Roma con l’ex sindaca Virginia Raggi. Infine, c’è la componente degli ubbidienti, ossia coloro che non è né di destra né di sinistra, ma che segue semplicemente chi comanda”. Per Mannheimer, Conte subisce in qualche modo la rivalità molto forte che esiste con Luigi Di Maio e, inoltre, non riesce a controllare i suoi parlamentari. “Conte fa del suo meglio, ma si trova in una situazione difficile anche perché il M5S ha perso gli argomenti di un tempo, ha fallito nel suo desiderio di ‘aprire il Parlamento come una scatola di tonno’ e, quindi, lo vota sempre meno gente”, dice l’esperto. Piepoli, invece, è convinto che Conte sia più adatto a fare il premier piuttosto che il leader di partito. “La magia non riesce in tutti i posti che ricopre. Non tutti sono adatti a fare tutto”. Insomma, Di Maio ha unanimemente un’altra stoffa. “Conte subisce come un inquilino subisce il padrone della casa dove abita. Una casa in cui è il padrone che decide la durata del contratto di locazione”, chiosa Benini.
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