— Inizio intervento della dr.ssa Loredana Stefanelli nel corso della conferenza stampa di oggi —
Vorrei spiegare ai sammarinesi che cosa è stato l’Ospedale No-Covid.
Noi ci siamo sentiti e ritrovati ad un certo momento, il 25 febbraio, qui in Ospedale a fare i conti con il primo Covid che arrivava a al Pronto Soccorso di San Marino, ma che poteva arrivare anche al reparto di Medicina. Paziente, che come tutti sanno, è stato trasferito a Rimini (poi deceduto ndr il 1° marzo 2020 ndr)
In quel momento noi abbiamo avuto la consapevolezza totale che San Marino era immerso all’interno di quella che allora era un’epidemia, poi diventata una pandemia, e che l’ospedale si trovava nella centralità della gestione dei malati che sono cominciati ad arrivare, giorno per giorno, all’interno di questa struttura.
Nel frattempo che si costruiva tutto l’ospedale Covid c’era una piccola parte che doveva prendersi cura dei malati NO-COVID. Era importante perchè sono i malati che gestiamo 365 giorni all’anno, quindi erano pazienti con patologie acute che non potevano essere differiti ed inviati in altri nosocomi che come noi si trovavano a gestire questa situazione. Eravamo anche sovraccaricati di un certo numero di ricoveri geriatrici perchè contemporaneamente la geriatria era diventata anche lei reparto COVID.
In quel momento quella è stata la preoccupazione e l’impegno mio e di tutti i miei collaboratori. Avevamo l’obiettivo di offrire all’ospedale tutte le migliori risorse che noi potevamo esprimere e quindi buona parte dei miei medici di reparto, quelli piu’ esperti nelle patologie acute, hanno affiancato altri colleghi nei reparti COVID. Ma anche diversi infermieri esperti sono andati al reparto COVID cercando di portare il supporto e l’apporto di gente che normalmente si interessa di patologie acute dell’apparato respiratorio.
La parte che è rimasta vicina, dopo questo spostamento era costituita da medici delle specialistiche che progressivamente stavano chiudendo in base ai decreti che ci arrivava dalla direzione. Insieme a questi ultimi abbiamo approntato ad un lavoro di massima accoglienza su questo tipo di pazienti. (NO COVID ndr)
C’è stato in quei giorni un grande assalto sull’area intensiva, sono arrivati molti pazienti. Il reparto intensiva, quindi, doveva attrezzarsi per ricevere tutti questi malati e quindi progressivamente ha fatto transitare sul reparto medico pazienti che erano già in intensiva NON COVID perché dovevamo isolare i COVID della terapia intensiva.
Quindi ci siamo presi progressivamente a carico anche pazienti dell’area post critica, post intensiva, che avevano bisogno di essere monitorati e questo lo abbiamo fatto in collaborazione con anestesisti ed i rianimatori in modo tale da poter garantire a questi pazienti le migliori cure possibili.
Quando è arrivato il primo caso, ovvero il 25 febbraio, la medicina aveva in carico 27 persone degenti. Eravamo praticamente al pieno visto che la capienza del reparto è di 30 posti letto. Oltre a questi 27 pazienti noi abbiamo ulteriormente ricevuto, tra il 25 febbraio ad oggi, più’ di 70 ammissioni sempre nel reparto medico. Se noi sommiamo tutti questi pazienti avete idea della movimentazione importante di pazienti, di tutte le fasce di età e di tutte le patologie, che c’è stata in medicina.
Siamo riusciti anche, per prestazioni di terzo livello, a spostare pazienti fuori di San Marino chiedendo le autorizzazioni per poter transitare in ospedali come quello di Ancona dove abbiamo inviato due volte un paziente.
Nel frattempo che andava avanti tutto questo percorso noi ci siamo adattati a tutti gli imput che arrivavano. Abbiamo fatto ciò nella consapevolezza che sicuramente dietro a certi pazienti si potesse annidare il COVID19. La preoccupazione di trovare dietro ai pazienti delle situazioni non chiare c’era in me e nei miei collaboratori, anche se condivisa con le direzioni e sempre ricercata, anche se noi eravamo un’area considerata a medio rischio avendo pazienti NON COVID.
Abbiamo costantemente monitorato l’esposizione anche se i dispositivi e le protezioni erano per un’area a medio rischio. Quindi abbiamo monitorizzato tutto questo cercando di ridurre le degenze il piu’ possibile. Il turnover del reparto è stato alto. C’è stato un flusso importante di dimissioni. Purtroppo non tutti i pazienti erano dimessibili perché avevamo in carico anche pazienti lungo degenti di origine geriatrica e pazienti che per la fragilità e la complessità dei casi hanno soggiornato diverse settimane all’interno del reparto medico.
L’emergenza aveva reso molto più fragile l’assistenza domiciliare e la presa in carico di pazienti con pluripatologia. Quindi noi, sinceramente, non ci siamo sentiti anche di forzare certe dimissioni. Abbiamo preferito lasciare sotto monitoraggio questi pazienti anziani e fragili perché il turnover alto ci permetteva di avere una alta disponibilità di letti.
Dopo il 20 marzo, con una riduzione dell’afflusso all’ospedale di pazienti, abbiamo praticato un distanziamento dei pazienti, possibilmente in stanze singole o doppie se erano previsti tre posti, per evitare la trasmissione tra i pazienti stessi del virus. Abbiamo applicato delle mascherine chirurgiche su tutti i pazienti, ridotto il passaggio all’interno delle stanze convogliandolo in un unico momento del giorno la visita e chiudendo progressivamente l’accesso al reparto. Nelle ultime settimane il reparto è stato chiuso totalmente. La gente si lamentava del regime di isolamento pur non essendo un reparto COVID.
Il reparto è stato chiuso all’esterno ma non poteva esserlo all’interno. Si è permesso l’ingresso a tutti quegli specialisti che erano necessari per poter lavorare su questi pazienti. Ci siamo piu’ volte incontrati e scambiati e visto i pazienti assieme agli anestesisti, ai neurologi ed ai cardiologi. Il reparto ha dovuto, pur con tutti i presidi imposti, essere a contatto con i malati. Basta solo dire che con l’invio dei pazienti a casa gli operatori del 118 sono necessariamente dovuti entrare in reparto per fare il barellaggio. Le famiglie sono entrate solo al pianerottolo del reparto per consegnarci le lettere di dimissioni o raccomandazioni su certe cose necessarie in questo momento.
Ora ci sono i dovuti accertamenti come è giusto che ci siano, ma già io stessa ho verificato con i miei collaboratori e serenamente attendo l’esito.
Devo dire ai miei concittadini, ai sammarinesi, che noi siamo molto sereni e che non abbiamo lasciato nulla di intentato. Che abbiamo usato tutta l’attenzione possibile ma a tutti è chiaro che noi eravamo dentro ad un virus tremendo che si camuffa dietro a quadri neurologici e cardiologici. Ed addirittura questo lo stiamo imparando tutti noi solo da pochissimo.
In questo momento il pensiero va ai miei concittadini, sincero (e si commuove ndr) e so che loro comprendono. Va a tutti i malati COVID e NO COVID, al mio personale che sono in quarantena che stanno affrontando l’infezione e tutto sta andando fortunatamente per il meglio. Il mio pensiero va alla mia azienda, alla quale sento di appartenere fortemente, e va a tutte le mie unità specialistiche che da un po’ non stanno lavorando. Sul territorio abbiamo tanti pazienti cronici con i quali c’è stata una separazione e dei quali noi siamo preoccupati perché abbiamo perso quel contatto che sento che dobbiamo riattivare il prima possibile.
Tutti noi stiamo pensando alla FASE 2 perché questa sarà necessaria perché nel frattempo che va avanti l’ospedale COVID deve necessariamente andare avanti anche l’altro ospedale NO-COVID, quindi il reparto medicina dopo questi giorni di quarantene. Quindi la riapertura delle attività specialistiche perché anche li ci sono delle preoccupazioni importanti. Appena riapriremo dovremmo correre, lavorare molto perché molti pazienti hanno bisogno che si riprenda con un monitoraggio delle loro condizioni.
Ringrazio per lo spazio che mi è stato concesso perché l’ho ritenuto estremamente importante.
— Fine dichiarazione della dr.ssa Loredana Stefanelli nel corso della conferenza stampa di oggi —-