
I migliori clienti sono i russi?
«Sì, ma anche gli americani. Ultimamente ho venduto scarpe per 180mila euro ad un industriale di San Pietroburgo».
Le banche aiutano quando si fanno investimenti all’estero?
«Devo dire, sotto questo profilo, che le banche con me si sono sempre spese bene. Hanno creduto nel progetto: ho avuto sempre riscontri molto positivi».
Mi pare di capire che la risorsa sia l’export, non solo per Lattanzi, ma in generale per il settore calzaturiero.
«Direi proprio di sì. Dobbiamo crescere a partire da Paesi a noi vicini come la Turchia: lì dovremmo quadruplicare le esportazioni».
Qual è la chiave?
«Quella usata dai francesi. Puntare sulle grandi eccellenze. I francesi hanno 160 uomini sparsi per il mondo che promuovono i loro prodotti, la nostra Ice ne ha una cinquantina».
Poi?
«Portare nel mondo la nostra cultura, il nostro saper fare, la nostra grande artigianalità senza vendersi alle grandi catene del lusso francesi».
A proposito di vendersi: ha mai ricevuto offerte?
«Sì, capita. Ma vogliono tutti il 51%, io al massimo cedo il 10%».
Le offerte che ricorda?
«Quella di Gucci e poi quella di Brioni. Il bello della facenda è che poi queste due case sono state comprate a loro volta».
A livello locale?
«Qualche offerta, rimasta lì. L’unico che mi ha sempre spronato ad andare avanti da solo è stato Diego Della Valle. Mi ha sempre detto ‘tieniti la tua libertà’».
In Cina come va?
«Mercato difficilissimo perché sono maniaci della perfezione. Io ho avuto una grande fortuna su quel mercato: il più grande giornale cinese mi ha citato come una delle massime espressioni del lusso».
Tradotto?
«Che se uno vuol fare un regalo ad un cinese ricco di seconda generazione, deve pensare ad un prodotto come le mie scarpe, non ai soliti nomi noti della moda».
Il lato brutto?
«Dopo quella grande pubblicità mi hanno clonato il marchio per cui s’è creato un mercato parallelo con scarpe a 10mila euro il paio. Ora abbiamo bloccato tutto ed abbiamo una causa in piedi».
Quali consigli ai colleghi?
«Non dò consigli. Anzi io ho sempre ascoltato perché c’è sempre da imparare dagli altri».
Come va con i mini-bond?
«Siamo alla terza fase. Se tutto va bene, sarei il primo caso delle Marche. Tre-quattro milioni e mettere in piedi un grande progetto».
Perché spendere cifre così alte per un paio di scarpe?
«Perché non senti i piedi e non senti le gambe».
Clienti famosi?
«Tanti, anche capi di stato. Le dico solo due architetti molto noti: Calatrava e Norman Foster». Il Resto del Carlino
«Sì, ma anche gli americani. Ultimamente ho venduto scarpe per 180mila euro ad un industriale di San Pietroburgo».
Le banche aiutano quando si fanno investimenti all’estero?
«Devo dire, sotto questo profilo, che le banche con me si sono sempre spese bene. Hanno creduto nel progetto: ho avuto sempre riscontri molto positivi».
Mi pare di capire che la risorsa sia l’export, non solo per Lattanzi, ma in generale per il settore calzaturiero.
«Direi proprio di sì. Dobbiamo crescere a partire da Paesi a noi vicini come la Turchia: lì dovremmo quadruplicare le esportazioni».
Qual è la chiave?
«Quella usata dai francesi. Puntare sulle grandi eccellenze. I francesi hanno 160 uomini sparsi per il mondo che promuovono i loro prodotti, la nostra Ice ne ha una cinquantina».
Poi?
«Portare nel mondo la nostra cultura, il nostro saper fare, la nostra grande artigianalità senza vendersi alle grandi catene del lusso francesi».
A proposito di vendersi: ha mai ricevuto offerte?
«Sì, capita. Ma vogliono tutti il 51%, io al massimo cedo il 10%».
Le offerte che ricorda?
«Quella di Gucci e poi quella di Brioni. Il bello della facenda è che poi queste due case sono state comprate a loro volta».
A livello locale?
«Qualche offerta, rimasta lì. L’unico che mi ha sempre spronato ad andare avanti da solo è stato Diego Della Valle. Mi ha sempre detto ‘tieniti la tua libertà’».
In Cina come va?
«Mercato difficilissimo perché sono maniaci della perfezione. Io ho avuto una grande fortuna su quel mercato: il più grande giornale cinese mi ha citato come una delle massime espressioni del lusso».
Tradotto?
«Che se uno vuol fare un regalo ad un cinese ricco di seconda generazione, deve pensare ad un prodotto come le mie scarpe, non ai soliti nomi noti della moda».
Il lato brutto?
«Dopo quella grande pubblicità mi hanno clonato il marchio per cui s’è creato un mercato parallelo con scarpe a 10mila euro il paio. Ora abbiamo bloccato tutto ed abbiamo una causa in piedi».
Quali consigli ai colleghi?
«Non dò consigli. Anzi io ho sempre ascoltato perché c’è sempre da imparare dagli altri».
Come va con i mini-bond?
«Siamo alla terza fase. Se tutto va bene, sarei il primo caso delle Marche. Tre-quattro milioni e mettere in piedi un grande progetto».
Perché spendere cifre così alte per un paio di scarpe?
«Perché non senti i piedi e non senti le gambe».
Clienti famosi?
«Tanti, anche capi di stato. Le dico solo due architetti molto noti: Calatrava e Norman Foster». Il Resto del Carlino