
Un aumento dell’1 per cento delle accise soltanto nel 2022. È una stretta senza precedenti quella proposta in un emendamento alla manovra a prima firma della senatrice leghista Roberta Ferrero, in discussione in questi giorni in commissione Bilancio al Senato. L’obiettivo è colpire le sigarette con un aumento cospicuo della tassazione. Ma le ricadute sulla filiera italiana del tabacco rischiano di essere pesanti.
Il pericolo, infatti, è quello di perdere investimenti importanti nel settore, a fronte di un incremento minimo del gettito erariale. Ma andiamo con ordine. L’Italia, secondo i dati forniti dal ministero delle Politiche Agricole, è il primo produttore di tabacco greggio dell’Unione europea, con un volume complessivo che si aggira attorno alle 50mila tonnellate, pari al 27 per cento del totale del Vecchio Continente. La tabacchicoltura interessa oggi circa nove regioni italiane, anche se è diffusa maggiormente in Campania, Toscana, Umbria e Veneto, dove rappresenta un vero e proprio volano economico.
Nell’Alta Valle del Tevere, ad esempio, attorno alla produzione del tabacco ruota un indotto di 2mila lavoratori. In totale le aziende coinvolte in quattro regioni sono circa 2.500 e impiegano, secondo i dati del Sole24Ore, oltre 50mila persone. “Il tabacco non deve essere lasciato indietro, è una realtà importante dell’agricoltura”, ha detto recentemente anche il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, invocando misure che possano “dare respiro in maniera equa agli interessi sia dei produttori di tabacco e soprattutto delle manifatture”.
L’inserimento al fotofinish all’interno della legge di bilancio di un ulteriore aumento della tassazione, però, rischia di scoraggiare gli investimenti nel nostro Paese mettendo ulteriormente in difficoltà la filiera del tabacco italiana. Le criticità del settore, che negli anni ha raggiunto livelli altissimi di specializzazione, sono state discusse giovedì in un tavolo tra il sottosegretario leghista all’Agricoltura, Gian Marco Centinaio e gli assessori delle quattro regioni in cui si concentra la maggior parte della produzione nazionale.
I rappresentanti di Umbria, Toscana, Campania e Veneto hanno presentato al sottosegretario un documento in cui si chiede la convocazione di un tavolo con tutti gli attori del settore per chiedere, tra le altre cose, interventi mirati per far fronte all’aumento dei costi delle materie prime e un adeguamento dei prezzi. Ora un possibile aumento massiccio delle accise potrebbe mettere in discussione gli investimenti da milioni di euro su questi territori.
La misura chiesta dai senatori leghisti, infatti, oltre a distorcere di fatto il mercato non prevedendo un aumento parallelo per i prodotti innovativi, come quelli a tabacco riscaldato, potrebbe avere l’effetto di allontanare dall’Italia le multinazionali che da anni fanno affidamento sulla nostra filiera. Basti pensare che negli ultimi anni le principali aziende hanno deciso di investire qui circa un miliardo di euro.
L’ultimo annuncio in ordine di tempo è quello di Jti, che nei giorni scorsi ha fatto sapere di voler acquistare 8mila tonnellate di tabacco da Umbria e Veneto. Se le condizioni del mercato dovessero cambiare improvvisamente, però, la ripartenza del comparto potrebbe subire una vera e propria frenata, che si tradurrebbe in un duro colpo anche per l’occupazione.
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