Accendendo la televisione su qualsiasi canale Rai e a qualsiasi ora si sente parlare, soprattutto male, del Governo. Qualsiasi trasmissione o talk show sembra essere uno spot elettorale fuori tempo massimo: salotti autoreferenziali dove i conduttori cambiano ma gli opinionisti sono sempre gli stessi. E pendono tutti dalla stessa parte. Uno potrebbe essere tentato di rifugiarsi nella carta stampata, nell’approfondimento. Macché. I primi due quotidiani più diffusi nel Paese stanno, abbastanza evidentemente, dalla stessa identica parte. Sempre la medesima, ovviamente. Per non parlare degli attori, dei cantanti, dei conduttori, degli scrittori (Saviano docet). Una faccia, una razza. Sempre e comunque la stessa. Egemonia culturale? Un eufemismo.
Assurdo vero? Eppure è così.
Però, si potrebbe pensare, gli uomini di Stato, quelli che finalmente non devono più rispondere a un esecutivo orientato in un certo senso si sentiranno liberi di dire la verità. E invece no. Capita anzi di trovarsi un manager pubblico di vecchia data come il presidente dell’INPS, che uno si aspetterebbe essere persona pragmatica e realista, impegnato ad avallare fantasie assurde, a tentare di convincere gli italiani che i migranti gli pagheranno le pensioni. I migranti, sbarcati e mantenuti dallo Stato con 35 euro al giorno, che non lavorano e non pagano contributi, non i cittadini, con il loro lavoro. Quando hanno la fortuna di avercelo, s’intende.
Sempre più assurdo? Eppure è così.
Si potrebbe allora ritenere che l’ultimo rifugio, l’ultima fetta di Italia non ideologizzata, non faziosa, non schierata, sia quella dei tutori della legge. I magistrati magari. E invece, anche qui, la storia insegna il contrario. E l’attualità, purtroppo, lo conferma. Sono bastati poco più di trenta giorni di Governo leghista e pentastellato, con annesso tentativo di fare ordine, per far muovere, puntuale come un orologio svizzero, la macchina del fango mediatico-giudiziaria. Quella macchina che, per anni, guarda caso gli anni in cui al Governo c’erano altri, era rimasta sostanzialmente silente, a parte qualche insignificante bagatella.
E anche questo è assurdo. Eppure è così. È sempre così, da sempre, da anni. Le peripezie del ventennio berlusconiano, le persecuzioni giudiziarie, le battutine velenose nei salotti tv contro il Cavaliere, la stomachevole satira di parte avrebbero dovuto insegnare qualcosa.
E invece non hanno insegnato nulla. Addirittura c’è chi, pur sentendosi culturalmente lontano da certi salotti, a furia di essere bombardato, ha magari finito con il pensare che, in fondo, un po’ di ragione ce l’avessero. Che, in fondo, quella cerchia di potere dominante, così antipatica e così insopportabile nella sua supposta supremazia morale, non avesse tutti i torti. Bene. Eccoli serviti. Benvenuti nell’Italia reale, verrebbe da dire. Perché, se qualcuno ancora non l’avesse capito, il problema, per certa classe dirigente, non era Berlusconi. Come non lo era Craxi prima di lui e non lo è Salvini oggi.
Perché, in realtà, e bisogna affermarlo senza alcuna paura, il problema per questa gente è sempre stato uno solo. La democrazia.
Assurdo? Già. Eppure è così.
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