Giornata decisiva per l’inchiesta sull’omicidio di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo uccisa nella notte tra l’11 e il 12 settembre e ritrovata senza vita all’interno della tenuta di Emanuele Ragnedda, l’imprenditore vinicolo di Arzachena che ha confessato il delitto e che è stato trasferito nel carcere di Bancali, Sassari, in un reparto a sorveglianza rafforzata.
Il corpo di Cinzia Pinna irriconoscibile
Il corpo di Cinzia Pinna, è stato trovato dagli investigatori vicino a un albero della proprietà di famiglia di Ragnedda, tra Palau e Arzachena. Indossava soltanto una maglietta ed era stato lasciato all’aperto, esposto alle intemperie e agli animali selvatici. Le condizioni in cui è stato trovato hanno reso impossibile un riconoscimento diretto da parte dei familiari. Per oggi sono programmati nuovi accertamenti medico-legali, tra cui una tac, che dovranno chiarire diversi punti ancora oscuri.
La versione di Ragnedda e i punti da chiarire
Gli inquirenti vogliono stabilire se prima dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco vi sia stata una colluttazione tra la vittima e il suo assassino, come sostenuto da Ragnedda. L’uomo, davanti al procuratore Gregorio Capasso e alla sostituta Noemi Mancini, assistito dal suo legale Luca Montella, ha dichiarato di essere stato aggredito da Cinzia all’interno del casolare della tenuta di ConcaEntosa e di aver sparato per difendersi. Non ha però precisato quanti colpi siano stati esplosi: un dettaglio che potrebbe emergere proprio con gli esami di oggi, ai quali parteciperà anche il consulente tecnico della difesa, Ernesto D’Aloja. Ragnedda è stato visitato in carcere dal medico su disposizione dei magistrati: sebbene il referto sia riservatissimo, sarebbero stati trovati tagli su un braccio e in bocca. Venerdì l’indagato si era presentato davanti al gip di Tempio Pausania, Marcella Pinna. Difeso dall’avvocato Luca Montella, ha parlato per circa due ore, rispondendo a tutte le domande dei magistrati. Al termine dell’udienza, il giudice ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare nel carcere di Nuchis.
L’ipotesi complici
Intanto, dalle indagini coordinate dai carabinieri guidati dal comandante territoriale di Olbia, colonnello Nicola Pilia, prende corpo l’ipotesi dei complici: sul luogo del delitto, nei giorni successivi all’omicidio, sarebbero state presenti almeno due persone, forse tre. Avrebbero aiutato Ragnedda a ripulire il casolare dal sangue della vittima e a far sparire i suoi effetti personali, tra cui il cellulare, non ancora ritrovato. Gli investigatori stanno inoltre cercando di ricostruire la vita privata dell’imprenditore, che pare fosse solito contattare donne attraverso il web con inviti espliciti, sostenuto e protetto da una donna ritenuta vicina a lui. Individuarla è ora una priorità per gli inquirenti, convinti che la sua testimonianza possa essere determinante per comprendere che cosa sia accaduto nelle ore immediatamente successive al delitto.
Scultura in sabbia a Platamona per ricordare Cinzia Pinna
Due giorni fa su una spiaggia in Sardegna è apparsa una scultura in sabbia dedicata a Cinzia Pinna, realizzata dall’artista Nicola Urru. “La Crudeltà e la De-umanizzazione oggi ci avvolgono. L’atto stesso del femminicidio è la manifestazione estrema della violenza di genere, un sintomo di una società che non ha ancora sradicato la cultura del possesso e della sopraffazione. La brutalità dell’atto, spesso ai danni di una persona in uno stato di vulnerabilità, mette in luce una pericolosa disumanizzazione che consente di vedere la vittima non come persona, ma come oggetto o ostacolo. L’enfasi sulla carriera o sullo status sociale dell’omicida, come i suoi vini, rispetto all’efferatezza del crimine e alla vita della vittima è un problema ricorrente. Questo approccio può minimizzare il crimine e dare spazio alla “storia di successo” dell’assassino. Tutto questo, distoglie dall’orrore del femminicidio e dalla responsabilità penale”, ha scritto sui social l’artista Nicola Urru che ha dedicato a Cinzia Pinna, una delle sue famose sculture in sabbia sulla spiaggia di Platamona. “È fondamentale che l’attenzione si concentri sulla vittima e sulla necessità di una cultura del rispetto per contrastare la violenza di genere, esigendo dai media un resoconto che sia rispettoso, etico e concentrato sulla grave ingiustizia subita da Cinzia”, conclude Urru.
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