L’indagine condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova sui presunti finanziamenti illeciti partiti dall’Italia verso gruppi estremisti mediorientali si arricchisce di nuovi, inquietanti dettagli. Dagli atti dell’inchiesta emerge uno scenario che va oltre il sostegno esclusivo ad Hamas: le intercettazioni svelano canali di trasferimento di denaro diretti anche alle milizie di Hezbollah e un sistema di trasporto fondi occultato all’interno dei convogli umanitari, dove sacche piene di contanti avrebbero sostituito i generi di prima necessità.
Borse di denaro al posto della farina
Il punto centrale emerso dalle captazioni telefoniche e ambientali riguarda la natura stessa degli aiuti inviati. Se ufficialmente si parlava di sostegno alla popolazione civile, le conversazioni tra gli indagati dipingono una realtà diversa. In un passaggio chiave risalente al 2024, un interlocutore di Mohammad Hannoun – figura centrale dell’indagine e presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia – fa riferimento all’organizzazione di un convoglio composto da dieci camion. Nel discutere il carico, viene specificato che la farina non era più merce gradita, essendocene ormai in abbondanza in loco; al contrario, la priorità veniva data al trasferimento di valuta, con la menzione esplicita di tre o quattro borse colme di dollari americani nascoste tra i mezzi.
Non solo Gaza e le brigate Al Qassam: la rete di finanziamento avrebbe toccato anche altri attori dello scacchiere mediorientale. Un’intercettazione del 14 febbraio scorso attribuisce a un altro indagato, noto come Abu Falastine (all’anagrafe Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud), il riferimento a un trasferimento di capitali triangolato da Istanbul ad Amman, questa volta destinato espressamente a Hezbollah.
I timori sui carichi alimentari e le “pulizie” informatiche
Il quadro tracciato dagli inquirenti evidenzia anche il cinismo nella gestione delle risorse. Mentre i contanti viaggiavano attraverso canali riservati o “cash couriers”, gli aiuti alimentari veri e propri sembravano avere un destino incerto. In una conversazione intercettata emergono lamentele riguardo a una spesa di 400.000 dollari in generi alimentari per una carovana benefica: secondo gli indagati, tale investimento sarebbe andato perduto poiché i camion venivano sistematicamente assaltati e la merce rubata, rendendo di fatto più sicuro ed efficace il trasporto diretto del denaro contante.
Per proteggere questo sistema, gli indagati avrebbero attuato drastiche misure di controspionaggio. Temendo controlli e arresti, sarebbe stata disposta la cancellazione di file compromettenti e ricevute dai computer della sede milanese dell’associazione “La cupola”. Tuttavia, secondo quanto ricostruito dall’accusa, i dati non sarebbero stati distrutti definitivamente ma copiati su hard disk esterni affidati a persone di fiducia, per preservare la contabilità interna. Durante le perquisizioni, i militari hanno rinvenuto dispositivi informatici occultati persino nelle intercapedini murarie di un appartamento in provincia di Lodi, materiale che ora è al vaglio dei tecnici forensi.
La difesa arranca: “Fonti israeliane non verificabili”
Sul fronte difensivo, i legali di Hannoun respingono le ricostruzioni della Procura. La linea degli avvocati punta a delegittimare l’impianto accusatorio, sostenendo che le prove e le valutazioni giuridiche si fondino in larga misura su elementi forniti dall’intelligence israeliana. Secondo la difesa, tale provenienza renderebbe impossibile una verifica terza e approfondita sui contenuti, violando i principi di formazione della prova previsti dall’ordinamento italiano.












