Un’udienza tesa ieri al Tribunale di Rimini ha messo a nudo le contraddizioni di un dramma familiare, con una coppia di genitori bengalesi che ha respinto con fermezza le accuse di aver costretto la figlia ventenne pakistana a un’unione indesiderata, aprendo un confronto serrato tra versioni opposte e il peso della tradizione contro la libertà individuale.
L’interrogatorio di garanzia, protrattosi per oltre due ore davanti al giudice per le indagini preliminari Raffaele Deflorio, ha visto il padre 55enne e la madre 42enne di origine bengalese rispondere punto per punto alle imputazioni mosse dalla Procura. Arrestati all’inizio della settimana scorsa e posti agli arresti domiciliari dal primo ottobre su ordinanza del gip, su richiesta del sostituto procuratore Davide Ercolani, i due coniugi – assistiti dall’avvocato Valentina Vulpinari – hanno sostenuto che la giovane, pakistana di nascita, fosse pienamente consapevole e d’accordo sul matrimonio celebrato in Bangladesh a dicembre 2024, da cui in seguito si era separata con un divorzio. Secondo la loro ricostruzione, l’intera vicenda sarebbe una fabbricazione della figlia, motivata da ragioni non chiarite, e hanno chiesto al giudice la revoca immediata dei domiciliari, con il gip che si è riservato di decidere in tempi brevi.
Questa narrazione stride nettamente con il racconto della ventenne pakistana, emerso dall’inchiesta condotta dai carabinieri, che descrive un calvario di manipolazione e coercizione. La ragazza avrebbe accettato di tornare in Bangladesh ingannata dalla notizia di una grave malattia della nonna, per poi trovarsi intrappolata: i genitori bengalesi le avrebbero confiscato passaporto e carta di credito, presentandole un futuro sposo imposto dalla famiglia e costringendola a convolare a nozze contro la sua volontà dopo soli pochi giorni. Non solo: per imporle una gravidanza rapida, le avrebbero somministrato farmaci per stimolare la fertilità alternati a sedativi per renderla più acquiescente, eliminando ogni possibilità di fuga.
Alla fine, la giovane pakistana è riuscita a contattare i carabinieri da Rimini, convincendo i genitori bengalesi a riaccompagnarla in Italia con la promessa di cure mediche per favorire la concepimento. Al loro arrivo all’aeroporto di Bologna l’altro ieri, le forze dell’ordine attendevano la famiglia: mentre la ventenne veniva condotta in un rifugio sicuro, per i genitori sono scattate le manette, segnando l’inizio di un processo che potrebbe ridefinire i confini tra usanze culturali e diritti universali. Questo caso, emblema di tensioni tra generazioni immigrate, solleva interrogativi urgenti su come tutelare le vulnerabilità nascoste nelle comunità, in attesa di un verdetto che potrebbe ribaltare le sorti della vicenda.
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