Dal Comitato Civico per la Cittadinanza: “Il dovere del naturalizzato a rinunciare alle altre cittadinanze”

Si è aperto il dibattito sulla cittadinanza e nello specifico sulla naturalizzazione (l’acquisizione della cittadinanza sammarinese da parte degli stranieri con residenza stabile in territorio). Di fronte a diverse opinioni e lamentele, (si veda il commento del firmatario con la sigla F. C. sull’Informazione del 28 luglio 2025) c’è la forte necessità di ripristinare FONDAMENTI DI VERITÀ.

Lo straniero che stabilmente risiede in territorio ha la facoltà di acquisire la cittadinanza sammarinese, non attraverso un atto concessorio del Consiglio Grande e Generale, come nei decenni passati, ma è la legge stessa (dalla legge n.114 del 2000 e successive modifiche) che stabilisce i criteri affinché l’interessato stesso possa fare domanda per lo STATUS CIVITATIS. Ma la stessa legge stabilisce l’obbligo per il naturalizzato a RINUNCIARE ALLE ALTRE CITTADINANZE. Questo perché siamo uno Stato piccolo, con una popolazione limitata, non superiore ai 35.000 abitanti. Ne consegue che la demografia diventa un fatto politico di grande rilevanza se la maggioranza della popolazione appartiene a Stati diversi, due o più di due.

Un popolo, la cui maggioranza appartiene a due Stati, perde di fatto la sua identità e la sua configurazione giuridica di entità statuale autonoma. Un esempio concreto è la storia istituzionale delle Isole Hawaii che da monarchia ereditaria sono divenute il 50° Stato degli Stati Uniti d’America, proprio a seguito del predominio dei naturalizzati statunitensi rispetto ai cittadini originari.

Dobbiamo considerare che se la nostra popolazione vuole appartenere a più Stati, essendo la Repubblica, Stato enclave della Nazione Italiana, nei fatti si imbocca il processo istituzionale e giuridico di PROTETTORATO NELLA NAZIONE ITALIANA. In tal modo si annullano i risultati raggiunti nel 1971 con l’accordo Moro- Bigi per eliminare dagli accordi del 1939 la dizione “AMICIZIA PROTETTRICE”. Bisogna prendere consapevolezza che questo è l’effetto indotto in tema di naturalizzazione e di doppia cittadinanza. L’adesione all’Europa non risolve questa spinosa problematica, perché non diventiamo Stato membro, ma Stato che si associa, quindi non acquisiamo la cittadinanza europea. Da verificare se talune problematiche della cittadinanza potranno essere oggetto di discussione e di soluzione in ambito europeo. In generale i rapporti di politica estera devono avere come fondamento la Cooperazione tra entità autonome.

Oggi le forze politiche sono in completa confusione su un tema così delicato per il futuro destino del Paese. Anzi ascoltiamo lo sviluppo del dibattito trasversale all’interno di alcune forze politiche: Alleanza Riformista con gli interventi dell’avv. Nicola Berti nei dibattiti consiliari e televisivi, l’equilibrato commento di Henry Bucci, il convinto sostegno dei giovani democristiani e la riflessiva posizione di Lorenzo Bugli, la partecipazione di Repubblica Futura e di Motus Liberi. In altri partiti notiamo il silenzio, l’incertezza o la netta contrarietà.

Il primo passo è stabilire se il naturalizzato debba rispettare, nell’arco dei 5 anni, l’obbligo alla rinuncia alle altre cittadinanze. Questo vuol dire che il naturalizzato che non abbia già rinunciato alle altre cittadinanze, lo debba fare. Rispettare la legge in ogni caso, lo dice l’art. 13 della Carta dei Diritti. In parallelo si dovrà sancire se verrà mantenuto l’obbligo di legge per i naturalizzati di rinunciare alle altre cittadinanze possedute.

Il noto giurista, l’avv. Luigi Lonfernini, ha definito consuetudine istituzionale l’obbligo della rinuncia della cittadinanza d’origine del naturalizzato. Nel suo recente commento del 30 luglio egli ha di nuovo ribadito: ”la legge in vigore è stata nel tempo consolidata da una consuetudine che è divenuta norma di carattere istituzionale”. Non abbiamo capito se Lonfernini sarà ascoltato!

Considerato poi che altro noto giurista si è definito “il padre del recente Progetto di legge sulla naturalizzazione (PDL),” ci preoccupano queste contrapposte posizioni tra giuristi sammarinesi. Il primo è tradizionalista, memore del valore storico delle decisioni e della saggezza dei nostri avi, il secondo, più populista, vuole dare la risposta partitica agli interessi dei nuovi cittadini, superando gli interessi generali dello Stato nel definire chi sono i suoi cittadini.

Se vogliamo proseguire sulla strada aperta da Bigi e continuata con l’adesione agli organismi internazionali (ONU; O.S.C.E., Consiglio d’Europa. Integrazione all’Unione Europa), dobbiamo indirizzare i nostri sforzi ad implementare l’indipendenza e la sovranità dello Stato Sammarinese. Se invece vogliamo entrare nel più comodo percorso di essere nei fatti un protettorato della vicina Nazione Italiana, dobbiamo chiaramente dire alla comunità quali di questi due percorsi vogliamo intraprendere. La demografia nella logica dei piccoli numeri diventa un fattore politico e strategico.

Non trova rispondenza vera l’affermazione “tenere ai margini una parte significativa della popolazione residente” perché l’accoglienza dello straniero in Repubblica è sempre stata ampia sia nei tempi di crisi politica e bellica, sia nella costante apertura ai forensi sui posti di lavoro privati e sui posti apicali del settore pubblico allargato.

La questione della naturalizzazione ha una incidenza sostanziale da meritare la collocazione del tema all’interno dell’agenda della Commissione per le Riforme Istituzionali o Commissione Apposita. A nostro parere le decisioni sul POPOLO, fondamento dello Stato, assieme al territorio e alla sovranità, sono decisioni da assumere attraverso la legge, mediante un percorso e un dibattito ad alto livello. La qualità del dibattito politico è un bene comune che non possiamo dimenticare! Anzi dobbiamo difenderlo!

Il Comitato Civico per la Cittadinanza