Gli italiani si espressero, infatti, in modo plebiscitario: 80,21 per cento di “Sì” rispetto al 65,11 per cento di affluenza. Oltre alla tempra civile di Enzo Tortora pare, tuttavia, opportuno ricordare le vicende politiche che fecero da contesto alla consultazione. Il quesito referendario fu proposto da Partito Radicale, Partito Liberale e Partito Socialista. Democrazia Cristiana e Partito Comunista osteggiarono in ogni modo le ragioni dei referendum, giungendo ad anticipare le elezioni politiche nella speranza che i referendum – in particolare quelli in materia di giustizia – non raggiungessero il quorum prescritto.
Preso atto dell’opinione largamente predominante nel Paese, conversero su un “Sì” di maniera; posizione di equilibrismo che poi tradussero nella legge 117/88, la quale svuotò di ogni concreto significato la volontà referendaria tanto chiaramente espressa dagli italiani l’anno precedente.
La storia come sempre insegna: nessuna sorpresa di fronte alle scelte odierne del Partito Democratico, perfettamente in linea con quelle dei partiti la cui eredità politica al Nazareno si rivendica. Per non arrecare offesa all’intelligenza di noi tutti, evitate però di cianciare di Matteo Salvini. La posizione di subalternità ancillare alle burocrazie giudiziarie (accompagnata all’antico timore che sui temi della giustizia si coaguli un rassemblement di forze laiche e riformatrici) è sempre la stessa e, per dirla con Quelo, “epperò è sbagliata”.
Massimiliano Annetta