San Marino. Dall’antipolitica, alla politica, alla democrazia: come cambiano i partiti … di Alberto Forcellini

La contrapposizione politica-antipolitica e? un topos retorico che con le recenti vicende del Movimento 5 Stelle sta conoscendo un rilancio considerevole. Uno spaccato delle dinamiche partitiche e le loro evoluzioni nel tempo, lo si è potuto leggere anche nei recenti dibattiti consiliari.

La storia della cosiddetta antipolitica è ormai lunga. Il termine probabilmente non era stato ancora inventato quando a San Marino nacquero piccolissime forze politiche rappresentate in Consiglio da grandi personaggi come Cristoforo Buscarini, Simone Rossini, Renzo Bonelli. Forse neanche quando nacque Alleanza popolare, agli inizi degli anni ’90, si poteva parlare di antipolitica, quantunque il movimento si costituì come la prima vera spaccatura dentro il monolite democristiano, in cui le correnti venivano comunque sempre ricomposte con raffinate alchimie politiche. AP si configurò subito come la prima esperienza post ideologica dell’era moderna, un movimento antipartitico, composto da una élite di professori, industriali, artisti, professionisti, un po’ settario, ma comunque capace di attirare le attenzioni dell’intellighenzia sammarinese. Caratteristiche che ha continuato a coltivare anche quando nel 2006 è entrata al governo, integrandosi (anzi, dominando) per i successivi 14 anni quel sistema di potere politico/economico, che aveva fino a quel momento combattuto.

Nel frattempo, agli inizi del terzo millennio, con governi che cambiavano almeno tre volte all’anno, nacquero alcuni partitini che vennero immediatamente ribattezzati col nome di “cespugli”. Ciascuno di essi con il suo rappresentante in Consiglio. Le cronache li ricordano per battaglie come quella sui “lotti di Valdragone”. Un po’ blanditi, un po’ avversati e poi fatti sparire in pochi anni.

Bisognava aspettare il 2012, con la nascita di Rete, perché la lotta al potere costituito, che si alimentava e alimentava il potere economico per costruire il consenso, cominciasse a prendere le sembianze dell’antipolitica. Nessuna ambizione di potere, nessuna trattativa, nessuna mediazione, ma la denuncia quotidiana e inappellabile contro tutte le distorsioni e gli abusi, che impoverivano lo Stato e svilivano la comunità. Il linguaggio nuovo, fuori dagli schemi convenzionali, era facilmente comprensibile a tutti. Bastava quello, e i comportamenti conseguenti, a far crescere il consenso.

Contestualmente era nato anche Civico 10, un altro movimento che sembrava fuori dagli schemi di potere, nei quali invece entrò a piè pari nel 2016 con la prospettiva del governo. Ma quella che sembrava una vittoria, né determinò poi la scomparsa.

Oggi, il quadro complessivo, pur complesso, ha modificato la sua leggibilità.  Infatti, se il termine “antipolitica” è usato da politici e giornalisti come anatema per bollare i movimenti sociali in quanto estremisti fanatici contrari al comune buon senso, poi bisogna andare a riconsiderare anche personaggi come Grillo e Salvini.

In versione sammarinese, personaggi come Zeppa, Roberto Ciavatta, Elena Tonnini, Emanuele Santi, che sono stati per anni l’emblema della protesta, oggi stanno dimostrando che il loro movimento non si è “svestito” dei vecchi contenuti ma si è vestito quella “cultura di governo” da cui non si può prescindere quando si entra in una maggioranza. In ogni caso, certi provvedimenti, certe battaglie, certe “sparatone” in Consiglio, dimostrano che non hanno perso nulla della originaria identità, anche se non sempre è facile trovare un’ampia convergenza fra “rivoluzionari” e “benpensanti”.

Sull’altro fronte Repubblica Futura (ex AP) che non ha più l’identità delle origini, ma ha perso anche l’identità governativa maturata in 14 anni di governo. Oggi sembra assestarsi su quella forma di “antipolitica” che non si limita a criticare e a controllare la maggioranza, ma mira a distruggere l’intera politica del governo, senza costruire nulla, né cercare di dare soluzioni a problemi che, peraltro, dovrebbe conoscere molto bene.

Matteo Ciacci, ex leader di Civico 10 e oggi leader di Libera, dal canto suo, ci prova ogni giorno a trovare il difficile equilibrio tra la critica feroce al governo e quel senso di responsabilità che dovrebbe essere obbligatorio per tutte le forze politiche. Ma i risultati sono contraddicenti.

L’antipolitica è solitamente una critica “di pancia”, cioè emotiva, dettata da paure elementari, una manifestazione di primitivismo irragionevole, se non fosse che a San Marino l’azione di protesta e di denuncia si era innestata, negli anni recenti, su un substrato di corruzione e di disfacimento istituzionale che non ha pari nella storia. Per capirci: se si “vende” una licenza a un democristiano, a un comunista, o a un socialista, alla fine non cambia niente. Ma se si vende una licenza a un mafioso, cambia molto.

C’è di che riflettere. Come sul fatto che anche oggi c’è chi fa politica, chi fa antipolitica, e chi non è né carne, né pesce.

a/f